Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su solouninsiemedibugie.blogspot.com/2011/05/sailor-lost-around-earth.html

Prima la confusione. Dopo la meraviglia.

L'universo dei bambini è formato da disegni e figure che si ritrovano facilmente in natura: il cerchio, il triangolo, il sole, i quadrati, le case. Poi arriva la scuola elementare. Ti insegnano che un liquido tende a non avere una forma propria ma acquisisce quella del contenitore in cui si trova. Una cosa impensabile, sconvolgente. Non avere forma non è ammissibile, non su questo mondo, non nella mente angelica ed innocente di un frugoletto. L'acqua diventa allora il gioco prediletto: la si osserva, la si rovescia da un bicchiere ad un altro, quando si è piccoli ci si butta dentro il Didò (quello si che ha una forma! Ed è pure quella che voglio io!), la si mette nella piscinetta in giardino ma...niente. Non si riesce a capire il perchè e si resta turbati.

''A Sailor Lost Around The Earth'' è un liquido. Un liquido torbido, salato. Rappresenta proprio quella spaventevole massa amorfa che attira i bambini e che li confonde; in pratica l'habitat naturale del (cuore) polipo raffigurato in copertina. Una scelta, quella del cefalopede, che rende perfettamente l'idea di ciò che il terzetto di Correggio è in grado di concepire, non solo per il drumming a tratti tentacolare di David Ferretti che ricorda alcune intricatissime soluzioni à la Mastodon, ma soprattutto per la varietà di stili ed atmosfere abbracciate anche all'interno della stessa traccia (la fusione tra Dillinger Escape Plan ed Isis dell'incantevole ''Since Last Century'' ad esempio).  

Il loro primo vagito, ''Draining Planning For Ears Reflectors'' (2008), era un disco intenso, sorprendente ma non privo di qualche peccato di gioventù; questa seconda fatica si distanzia da quella deriva Post-rock/Shoegaze ancora non del tutto illuminante: via quasi totalmente le parti cantate (particolare che ho gradito molto), ci troviamo dinanzi ad un disco molto più scombinato, math, schizzato. Non so se rendo l'idea. Probabilmente no.

Cambi ritmici, accelerazioni brucianti, musica che si contorce su stessa senza un apparente filo logico. L'idea di fondo dei Valerian Swing è quella di puntare tutto sulla rottura degli schemi: la struttura di base viene irrobustita da punture di siero contaminante che ne modifica il dna (''Hypnagogic Allucination? Sound In The Void''), dai tripudi onirici di ''A Sea In Your Divine Fast'', da sperimentazioni elettroniche (''Nothing But a Sailor Lost Around The Earth''), perfino dalle contaminazioni jazz di ''Dr Pengle Is Here'' con il cameo del trombettista Gianluca Petrella (e con i richiami agli Zu che fanno capolino) a spiazzare più di quanto non fosse necessario.

La fisionomia della forma-canzone viene quindi stravolta da virate repentine e cambi di umore improvvisi. Ogni inibizione è annientata, precipitando in una tale quantità di emozioni da strabiliare anche il più esigente degli ascoltatori. Non è masturbazione strumentale fine a se stessa; tutto fluisce e si intreccia tra le nostre mani come una confidenziale amante che balla davanti ai nostri occhi. Una profonda riflessione quasi interamente strumentale che evolve, ascolto dopo ascolto, in qualcosa di ancor più sconosciuto, dissonante, mistico.

Dategli una chance. Diventate il suo contenitore. E, prima di liquidarlo, passate perlomeno dalle parti di ''It Shines'' o di ''Le Roi Cremeux'', con quei riff che iniziano e si fermano, per poi ricominciare spasmodicamente a rincorrersi.

Prima la confusione. Dopo la meraviglia.

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