Concerto gratuito sponsorizzatissimo in piazza Duomo a Milano, ma dove c'è Carmen ovviamente ci sono anch'io.
Arrivo con gli Sterophonics, i vorrei essere gli Oasis, più decotti degli originali, terribilmente noiosi e con alcune canzoni come Maybe Tomorrow che ci provano anche ad essere belle, ma mostrano subito evidenti limiti.
Carmen Consoli è in rientro dagli Stati Uniti e abbina un taglio di capelli alla Patti Smith alla femminilità di una camicia di seta che lascia trasparire un reggiseno scuro.
Il live set è solo al maschile e la sezione archi è orfana delle ragazze e l'effetto - non solo estetico - è parecchio diverso. Come atmosfera siamo nella parte più aggressiva del concerto acustico per teatri, con voce e chitarra in primissimo piano: apre Moderato in Re Minore, quindi Geisha, L'Ultimo Bacio, L'Eccezione, Parole di Burro, Venere e Contessa Miseria. Gli arrangiamenti sono stati aggiornati in modo da dare più spazio al mandolino suonato da Massimo Roccaforte, ma la novità è nelle dilatazioni di alcuni arrangiamenti in stile folk, con echi del De Andrè più noto di Il Pescatore e Bocca di Rosa, che non fanno altro che confermare le doti dell'eccezionale band che segue Carmen dal vivo.
Come sorpresa fuori programma c'è Alex Britti. Mi fa venire in mente una conversazione di qualche giorno fa su Lucio Fontana: uno dei pareri era che alla luce del complesso della sua opera lo si poteva giustificare anche per i tagli alla tela. A prescindere da quanto si possa essere d'accordo, ci sono analogie con Britti se lo si apprezza perché ha avuto una carriera da grandissimo chitarrista e gli si perdona le canzonette da spiaggia?
Inizia la prima canzone e a vedere cosa viene fuori da quella chitarra si ha la sensazione che sia tutto registrato. Pausa, interviene Alex: "Forse pensate che tutto questo sia una sola, anzi come si dice qui un pacco". Ed ecco che ci spiega come funziona il suo live set: ai suoi piedi ha un campionatore pilotato a pedali con il quale registra live le diverse piste che compongono l'arrangiamento simulando con la chitarra tutti gli strumenti. Insomma fra virtuosismi e diavolerie tecniche un piacevole diversivo.
Infine Alicia Keys: magnifica, questa donna oltre che essere bella e con una voce cristallina, sa anche come tenere su un pubblico. E lo fa sfoggiando una cultura musicale black impressionante: dal suono Motown al soul di Sly & The Family Stone, dal Bacharach cantato da Dionne Warwick ed Aretha Franklin al funk di James Brown e George Clinton.
Ed ecco in mezzo alle sue canzoni comparire Living In The City di Stevie Wonder, Never Can Say Goodbye di Gloria Gaynor... più citazioni varie in una trascinante intro in stile Prince: il riff di Hella Good dei No Doubt, il bridge di Jungle Boogie di KC & The Sunshine Band e chissà quante altre che non riesco a riconoscere...
Una band di una decina di elementi, con tre coristi, dà l'idea di grande spettacolo e soprattutto le canzoni: A Woman's Worth, Falling, If I Can't Have You, You Don't Know My Name sembrano lontane anni luce dalla lusinghe da classifica ed hanno lo stile e l'eleganza di veri classici. Consigliatissima a chi ha un'idea di black music che ritorni alle radici e vada ben oltre pistole, catenazze, bellone e balletti.
Ultima nota per la non-presentazione di Ambra Angiolini e Roberto Angelini, specialmente quest'ultimo che s'è portato il suo gettone a casa sostanzialmente reggendo in mano il microfono. Visto quanto poco hanno fatto oltre ripetere che loro sono di Roma e noi a Milano, l'unica cosa che mi vien voglia di dirgli è nonostante tutto... 'aridatece Paola Maugeri!
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