Togliamoci subito il dente e, no, Bob Dylan non c'è al concerto tenutosi al Kennedy Center di Washington il 14 ottobre 2012 per festeggiare i 100 anni di Woody Guthrie; ma nessuno tra gli invitati sembra farci caso e la festa è un successone.

Perchè di una festa di compleanno si tratta e siccome una festa degna di questo nome si apre e si chiude con i botti, senza ulteriori indugi, via alle danze.

L'apertura, scoppiettante assai, è affidata agli Old Crow Medicine Show che rileggono con piglio vigoroso e divertito «How di do» e «Union maid», episodi "minori" del repertorio, ma resi con passione coinvolgente. La chiusura, invece, vede tutti gli invitati sul palco ad intonare il più classico «Tanti auguri a teeee», sulle note di «This train is bound for glory» e «This land is your land», con quell'arzillo vecchietto di Ramblin' Jack Elliott a saltellare insieme a Tom Morello. Potrebbe essere il clou della festa, se non fosse che ...

Quello stesso Ramblin' Jack che qualche minuto prima è protagonista di una intensissima «1913 massacre», e la voce non più stentorea e le dita che si muovono lente ed incerte sulla tastiera aumentano soltanto la solennità del momento e ribadiscono che il natale 1913 a Calumet è qui ed è oggi. Potrebbe essere il clou della festa, chiunque ne converrebbe, se non fosse che ...

Alle feste incontri sempre tanta gente.

Alle feste incontri chi partecipa per senso di riconoscenza.

È il caso di Joel Rafael e Jimmy LaFave che, duri e puri, incarnano senza tentennamenti l'idea che anima Woody in brani, esplicativi sin dal titolo, quali «Ramblin' reckless hobo» e «Hard travelin'». Potrebbe essere il clou della festa, ma per davvero, se non fosse che ...

Alle feste incontri, sempre, chi ti aspetti di incontrare.

Alla festa di Woody, ad esempio, incontri John Mellencamp e, per chi come me non lo incrociava dalla notte dei tempi di «Scarecrow», è bello realizzare come sia invecchiato bene: lui, che cantava «You've got to stand for something», ha ragione da vendere quando afferma che, di Woody, oltre alle canzoni, è da tramandare quello che rappresenta. E quando attacca la celebre «Do-re-mi», sei certo che questo potrebbe essere il clou della festa, se non fosse che ...

Alle feste, spesso, incontri persone di cui non sospettavi nemmeno l'esistenza.

Ad un certo punto arriva questo Del McCoury con un completo tempestato di lustrini che brilla quanto un albero di natale e, tra una «So long, it's been good to know yuh» e lo strumentale «Woody's rag», insieme alla sua banda ed ospiti assortiti si lancia in una incruenta tenzone a colpi di banjo, mandole e chitarre come non si sente dai bei tempi di «Dueling banjos». Prima ancora, hanno fatto capolino le Sweet Honey In The Rock che, con una memorabile versione a cappella di «I've got to know», riescono nell'impresa di rendere gospel Woody e sono talmente brave che pare lo sia sempre stato. Potrebbe essere il clou della festa, e nessuno avrebbe da ridire, se non fosse che ...

Alle feste, poi, c'è sempre chi si imbuca anche se non c'entra niente con il festeggiato, giusto per scroccare qualche pastarella e gazzosa, e senza nemmeno portare un regalino.

Tipo, che ci fa Jackson Browne alla festa per Woody? Non lo so cosa c'entri, ma su un testo di Woody crea dal nulla un piccolo gioiello sospeso tra pop, folk e country che affascina per la sua (apparente) semplicità ed illude che chiunque possa fare altrettanto. Tanto per dire, ci prova pure Tom Morello, che veste di spedito combat folk un testo di Woody, senza tuttavia coglierne pienamente lo spirito. Quello del buon Tom forse no, ma quello di Jackson potrebbe essere il clou della festa, senza ma e però con un se, il consueto se non fosse che ...

Alle feste, sapete, qualcuno ci va perché sa che non ci va un altro che non gli va di incontrare.

Prendete Donovan, si è fiondato appena saputo dell'assenza di Dylan ed ha ricordato a tutti che Woody non è un qualsiasi, pallosissimo comiziante comunista, ma ha anche scritto pagine e pagine di puro e semplice, intimo disimpegno, come le canzoni per l'infanzia di cui «Riding in my car» è illustre esemplare. Pure questo potrebbe essere il clou della festa, con tutto il pubblico divertito ad intonare la filastrocca insieme a Donovan, se non fosse che ...

Io, per me, alle feste di compleanno ci vado solo per adocchiare qualche gentil pulzella.

Qui a Washington ce ne sono tre che si fanno notare.

C'è Rosanne Cash e, se è vero che buon sangue non mente, basta poco per convincersi che dietro il microfono ci sia papà Johnny a narrare l'avventura di «Pretty Boy Floyd», perché a Johnny certi tipi di fuorilegge hanno sempre fatto simpatia. C'è Lucinda Williams a cantare della prostituta di «House of heart» e Judy Collins che fa di «Pastures of plenty» una impressionante trasposizione in note del «Furore» di Steimbeck. Ciascuno di questi momenti, potrebbe essere il clou della festa, se non ora quando, se non fosse che ...

Se non fosse che, ad un certo punto, sale sul palco Ani DiFranco e nemmeno te ne rendi conto, così su due piedi, che questo è il momento clou della festa, perché Ani ti rapisce e ti porta non si sa dove, solo lontano da Washington, lontano dalle familiari mura di casa. Con lei c'è anche Ry Cooder ma, non ci fosse stato, sarebbe stato lo stesso. Canta «Deportee», canzone di vane speranze, fuga e morte, ma lei ne fa pura e semplice poesia.

A me piace pensare che Woody, dovunque sia, fosse lì a sbirciare e gli sia scappato un sorriso di gratitudine ed apprezzamento, a ricambiare quello accennato da questa donna fuori dall'ordinario.

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