A 25 anni Vinicio Capossela esordisce con quest'album che suscita l'interesse della critica ma non lo afferma certo presso il grande pubblico. Si tratta di un disco interessante ma non eccellente. Si parla tanto a proposito di questo personaggio di influenze contiane e waitsiane: io dico che questi influssi si avvertiranno in una fase secondaria della produzione di Capossela.

Fin dal titolo è molto forte la suggestione esercitata da Sergio Caputo, "presente" anche in altri episodi del disco (oltre al piacevole swing della title-track consideriamo anche "Sabato al Corallo" dal raffinato fraseggio pianistico, "Quando ti scrivo" con un bell'Hammond e l'alcolica "Pongo Sbronzo").
Non mancano ballate delicate e discretamente arrangiate: spicca su tutte "Scivola vai via", ma non demerita "I vecchi amori", mentre è piuttosto melensa e scontata "Stanco e perduto". Ma forse il pezzo migliore è "Una giornata senza pretese", malinconia cittadina allo stato puro e ritornello che non si dimentica.
Senza infamia e senza lode "Christmas song" e "Suite delle quattro ruuote".

Insomma, un buon lavoro, non all'altezza di altri "esordi" memorabili come quelli di Conte, De André, De Gregori e Jannacci, ma dal facile ascolto. Alcune idee saranno sviluppate in modo più compiuto in "Modì", da alcuni ritenuto il suo album migliore, per quanto siano già evidenti i difetti che il buon Vinicio si porta ancora oggi, su tutti una certa ripetitività e un barocchismo verbale che spesso gli sfugge di mano.

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