Tutto stava cambiando, nel 1991. E chissà perché bisogna andare a decenni…
Eppure è così…: i sessanta erano diversissimi dai (meravigliosissimi) settanta, e gli ottanta sono un’isola a parte e sottovalutatissima. I novanta sono stati spesso buonisti, inutilmente neofricchettoni e molto, ma molto, sopravvalutati. Salvo pochissime eccezioni. Una di là dal mar… ? Certo: Dave Matthews. Una di qua… ? Il nostro Vinicio. Che, certamente, ha parecchi debiti in giro. Ma, sì sa… coi puffi si vive bene, ed è impossibile venir fuori così tardi senza avere debiti con nessuno. E allora si può dire di buon grado che senza Waits il nostro Vinicio non sarebbe certo lì. Così come senza Conte, anche se il debito con Conte lo si è sempre non poco ingigantito. Così come i suoi riferimenti letterari sono evidenti e molteplici, e non basterebbe una tesi di laurea a descriverli tutti, e qualcosa ne rimarrebbe senza dubbio fuori.
Ma non è dei debiti che vogliamo parlare. È di un disco. Un bellissimo disco. Una prova importantissima come sono, di fondo, tutte le opere seconde. Prove molte volte non superate, ed altrettante volte molto esemplificative di quello che realmente vale l’artista. Perché la seconda opera non può essere ispirata e “di getto” come la prima. E spesso teme qualche tipico rischio: se il primo disco ha avuto molto successo, nel secondo c’è l’evidente frutto di qualche contrattone, o gli smascherabili avanzi del primo. Se invece il primo l’han considerato in pochi, molto spesso il secondo è ancora frutto del volersi far conoscere e di quella meravigliosa madre di tutte le meraviglie che è La Fame. Nel caso di questa seconda opera caposseliana siamo abbastanza a metà strada tra le due realtà.
Il bell’esordio dell’anno prima è arrivato alle orecchie di molti italiani, ma non di moltissimi. Alcuni apprezzarono quello che appariva, al primo singolo, come uno swing facile facile, notturno e da bar, vicino a Conte e Waits ma meno complesso, meno “impegnativo” e, apparentemente, pure un po’ fighetto (ebbene sì, signori, allora il Vinicio era pure quasi bello). Niente di più fallace, già allora…: bastava ascoltarselo tutto, il primo album, per capire di che levatura fosse questo giovane ragazzotto a metà tra nord e sud, tra canzone d’autore, jazz e ritmi latini. E la stessa formula è qui ripetuta, anche se parzialmente evoluta.
“Modì”, la splendida ballata pianistica che apre l’album, è un manifesto autobiografico identificatorio e bohemiano perfetto. Una canzone bellissima, triste e profonda, che parrebbe dare il segno all’album. Invece ecco i divertimenti di “Regina Del Florida” e la waitsata pura di “Notte Newyorkese”. Nell’album alcune altre perle (su tutte “Ultimo Amore”) ed altri divertimenti (la bella “E Allora Mambo”, resa anche celebre da un modestissimo film). Su tutto ancora presenti, e forse invasivi e un po’ spersonalizzanti, benché ottimamente realizzati, gli arrangiamenti e la produzione del clan contiano di Renzo Fantini. Dopo il successivo e ancora validissimo “Camera A Sud”, Marangolo e la squadra verranno licenziati, per fare spazio a musici e arrangiamenti molto più in linea con l’anima profonda e a volte più piacevolmente oscura del Nostro. Dunque, nel 1991, che conclusioni si era legittimati a trarre… ? Ricordo che di Vinicio, noi contiani incalliti, devoti di Waits e di ogni scuola cantautorale, parlavamo con un po’ meno diffidenza e con qualche simpatia in più.
Insomma, stava facendo breccia anche nei nostri giovani, e perciò durissimi, cuori. Certo, però, nessuno si immaginava ancora che da lì sarebbero arrivati i balli di san vito, le canzoni a manovella e gli ovunque proteggi. Come chi godeva allora con “Blue Valentines” non poteva neanche prefigurarsi in sogno le macchine ad ossa. Inutile, ragazzi: i paragoni vanno fatti, per il semplice motivo che è giusto farli, accostando maestri e bravissimi allievi, e tenendo conto che l’esistenza di Dylan mai renderà inutile quella di De Gregori, così come quella del grande Tom d’oltreoceano mai toglierà nulla ai grandissimi sviluppi dell’ “allievo” italiano Vinicio.
Elenco tracce testi e samples
06 Ultimo amore (06:49)
Fresca era l'aria di giugno
e la notte sentiva l'estate arrivar
Tequila, Mariachi e Sangria
la fiesta invitava a bere e a ballar
lui curvo e curioso taceva
una storia d'amore cercava
guardava le donne degli altri
parlare e danzare
e quando la notte è ormai morta
gli uccelli sono soliti il giorno annunciar
le coppie abbracciate son prime
a lasciare la fiesta per andarsi ad amar
la pista ormai vuota restava
lui stanco e sudato aspettava
lei per scherzo girò la sua gonna
e si mise a danzar
lei aveva occhi tristi e beveva
volteggiava e rideva ma pareva soffrir
lui parlava stringeva ballava
guardava quegli occhi e provava a capir
e disse son zoppo per amore
la donna mia m'ha spezzato il cuore
lei disse il cuore del mio amore
non batterà mai più
e dopo al profumo dei fossi
a lui parve in quegli occhi potere veder
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia sfiniti la sera
la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
lei raccolse la gonna spaziosa
e ormai persa ogni cosa
presto lo seguì
piangendo urlando e godendo
quella notte lei con lui si unì
spingendo, temendo e abbracciando quella notte
lui con lei capì
che non era avvizzito il suo cuore
e già dolce suonava il suo nome
sciolse il suo voto d'amore
e a lei si donò
poi d'estate bevendo e scherzando
una nuova stagione a lui parve venir
lui parlava inventava giocava
lei a volte ascoltava e si pareva divertir
ma giunta che era la sera
girata nel letto piangeva
pregava potere dal suo amore
riuscire a ritornar
e un giorno al profumo dei fossi
lui invano aspettò di vederla arrivar
scendeva ormai il buio e trovava
soltanto la rabbia e il silenzio di sera
la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
restava l'angoscia soltanto
e il feroce rimpianto
per non vederla ritornar
il treno è un lampo infuocato
se si guarda impazziti il convoglio venir
un momento, un pensiero affannato
e la vita è rapita senza altro soffrir
la poteron riconoscere soltanto
dagli anelli bagnati dal suo pianto
il pianto di quell'ultimo suo amore
dovuto abbandonar
lui non disse una sola parola
no, non dalla sua gola un sospiro fuggì
i gendarmi son bruschi nei modi
se da questi episodi non han da ricavar
così resto solo a ricordare
il liquore pareva mai finire
e dentro quel vetro rivide
una notte d'amor
quando dopo al profumo dei fossi
a lui parve in quegli occhi potere veder
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia sfiniti la sera
la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
a lui restò solo il rancore
per quel breve suo amore
che mai dimenticò
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