Sei seduto al tuo solito banco con la schiena inclinata in avanti, alla faccia di ciò che sostengono gli ortopedici.
Sei in terza media, hai sonno, e sei impegnato a fissare i pruriginosi slip che spuntano alla tua compagna che prende appunti, seduta di fronte a te.
E' la lezione di arte.
State studiando Picasso, e la prof, sta spiegando "Guernica". Finchè una voce fastidiosa si alza tra i ronfi.
"Sì ma quello sapevo farlo anche io".
Allora la prof inizia spiegare che non è così semplice come sembra. E' il concetto dietro a contare, non il disegno in se.

Ecco, quel ragazzino supponente, sono io.
Massì, quelli che vedono una cosa e poi pensano, facile, chiunque può.
A testimonianza di ciò ci sono: la metà dello scafo del titanic 1:250 arenata sopra l'armadio da quando avevo nove anni. "Infinite Jest" con il segnalibro nel primo quarto, della prima metà della lunghezza complessiva, vergognosamente nascosto nel comodino. La traduzione di "Just Before The Black" di James Franco, che chiede vendetta; e preferisco non continuare perchè mi vergogno.
Tutte cose apparentemente facili, ma concettualmente difficili.

Intervistare qualcuno, ho scoperto recentemente, è lo stesso.
Sì, sì, facile, ma vai a ottenere quello che ti interessa.
La parte veramente difficile sta nel fare domande pertinenti e al tempo stesso ficcanti, che sappiano attirare l'attenzione del intervistato e spingerlo a parlare libeamente di ciò che davvero lo interessa.
Se ci riesci, bravo, l'intervista diventa un'interessante chiaccherata, se no, hai in mano un noioso botta e risposta.

Aggiungici il fatto che non tutti sono davvero disposti ad aprirsi, a dire ciò che pensano, ma che preferiscono liquidare l'argomento con una risposta brillante, che non svela nulla.

Metto le mani avanti perchè, leggendo quanto segue, avrete l'impressione di un semplice botta e risposta; delle cui lacune, sono io il diretto responsbile.
Vitaliano Trevisan, scrittore tagliente e un pensatore affilato, ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2002, "I Quindicimila Passi",  si dedica al teatro ed ora esce per Laterza "Tristissimi Giardini".


-Il tuo percorso che ti ha portato alla scrittura è stato piuttosto originale.
Hai detto che prima dei trentatrè anni non hai mai scritto nulla. Che cos'è stato a farti cambiare direzione? E che rapporto avevi con i libri in generale?

Non ho mai cambiato direzione; ho solo aspettato. Il rapporto coi libri è sempre stato buono. Apprezzo le belle edizioni, ma mi interessano solo per il contenuto.

-Quali sono gli autori che ami maggiormente, e perchè?

Due tra tutti: Samuel Barclay Beckett e Thomas Bernhard. Entrambi, non a caso, anche drammaturghi. Il perchè: entrambi scrivono "ad alta voce"; ovvero la loro scrittura, che sia narrativa o drammaturgica, sempre cerca una voce. Come la religione ha bisogno della mistica, ma la mistica non ha bisogno della religione, così la scrittura ha bisogno della parola, ma la parola non ha bisogno della scrittura. Chi si propone di scrivere non dovrebbe mai dimenticarlo. I due autori in questione, a mio avviso, non l'hanno mai dimenticato.

-Che cos'è che ti interessa trasmettere attraverso una storia?

Nulla a parte la storia.

-L'ultimo libro che ti è piaciuto? Quale  invece sconsiglieresti?

Te ne dico due: "Ambienti Animali E Ambienti Umani", di Jacob Von Uexkull, edizioni Quodlibet e "Architettura Dell'Occupazione", di Eyal Weizman, Edizioni Bruno Mondadori. Da sconsigliare non saprei. Leggo solo libri che mi piacciono.

-Tu sei veneto, vieni da Sandrigo, qual è il tuo rapporto con la provincia? Cosa ne pensi dell'idea del Veneto ( lega e lavoro sostanzialmente)che spesso viene fatta circolare attraverso la televisione?

Il mio rapporto è che ci vivo, nel senso che sempre ci ritorno. L'idea di Veneto che circola è, come tutto ciò che riguarda la televisione, troppo influenzata dal mezzo per perdere tempo a parlarne. Quando il mezzo diventa fine, tutto ciò che il fraintendimento produce non può essere corretto.

-Progetti per il futuro?

Continuare a scrivere. Possibilmente scrivere meglio.

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