Uscito nelle sale un po' in sordina l'estate scorsa, CROSSING OVER è una pellicola di Wayne Kramer che, pur affidandosi a una produzione indipendente, schiera in prima fila gente come Harrison Ford, Ray Liotta, Cliff Curtis e i meno noti Alice Braga, Summer Bishil (tra gli altri).
Siamo negli USA, tempi attuali. Varie storie di immigrati, regolari o aspiranti tali, si intrecciano tra di loro in maniera sempre più fitta con il passare dei minuti. La trama - di certo nulla di epocale - scorre via bene e lo spettatore si ritrova genuinamente coinvolto nei quotidiani problemi che affligono tutti coloro che provengono da un mondo meno prospero e tentano di inserirsi, speranzosi, nel tessuto sociale di quella che nell'immaginario collettivo è ancora la "terra promessa". Non manca poi chi, però, cerca di aggirare gli ostacoli della burocrazia e chi, avendo la responsabilità dei controlli, abusa dei propri poteri per i fini più biechi.
Film stracolmo dei luoghi comuni più "comuni", che palesa problematiche che ogni paese civilizzato affronta nel quotidiano. La buona notizia, che combacia con la motivazione per cui mi prendo la briga di scrivere due righe di commento, è che tali questioni vengono affrontate in maniera sobria e, soprattutto, molto intelligente. Sottolineo, a tal proposito, delle scelte registiche che denotano "acume mediatico":
La funzionaria dell'ufficio immigrazione che fa la cattiva è interpretata da una donna piacente che non dice mai una parola fuori posto e che, quando può, fa prevalere il buon senso. Il burocrate che abusa dei suoi poteri sfruttando chi spera nella green card, verso la fine, diventa fragile e umano. La mezza integralista che spara frasi aberranti (e pericolosissime) è interpretata dai un'attrice adorabile e davvero brava (S. Bishil), straordinaria nel far risaltare quel lato umano ed emozionale che stempera un pochino la drammaticità delle questioni affrontate.
Film intenso, a tratti molto crudo, ma soprattutto "VERO" (e se lo dico, lo dico a ragion veduta). L'americanità traspare, a volte anche troppo, sia per il buonismo zuccheroso del finale sia per il fatto che il popolo a stelle e strisce ne esce quasi santificato. Ma l'intensità della trama e l'accuratezza con cui certe questioni vengono affrontate rendono la pellicola un documentario sui tempi moderni, da vedere soprattutto per chi, per sua fortuna, non ha mai affrontato da vicino il problema delle immigrazioni.
In chiusura sottolineo la prova opaca della stella di turno, un Harrison Ford inespressivo come non mai, che interpreta un personaggio che, forse anche per oggettivi problemi di sceneggiatura, alla fine non è nè carne nè pesce e male si infila nell'intrigante trama.
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