Nel 1965 non si aveva ancora la completa percezione di cosa sarebbe stato il Vietnam, sia per coloro che avrebbero combattuto sul campo, sia per l'enorme impatto politico e culturale che ebbe negli anni a venire. In questa "età di mezzo" del conflitto asiatico è ambientato "L'alba della libertà" (Rescue Dawn, 2006) film diretto dal teutonico Werner Herzog. Da esponente di spicco del "Nuovo cinema tedesco" (insieme a nomi come Fassbinder e Wenders), Herzog ha tracciato lungo alcuni decenni un personalissimo percorso in cui è difficile rintracciare punti di riferimento. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una lunga immersione nella carriera di documentarista a discapito dei lavori cinematografici.

"L'alba della libertà" nasce proprio da un precedente documentario, "Little Dieter needs to fly" (1997), ispirato alla prigionia e poi alla fuga dell'aviatore statunitense Dieter Dengler (interpretato da Christian Bale), fatto prigioniero in Laos durante un'azione militare segreta. In questo tentativo di evasione fu coadiuvato da altri cinque compagni di detenzione.

Spesso la guerra è stata utilizzata da diversi registi per mostrare non tanto l'evento storico, quanto gli effetti che esso ha avuto sulla psicologia di chi lo ha vissuto in prima persona. Da "Platoon" di Oliver Stone a "La sottile linea rossa" di Malick passando per "Apocalypse Now" di Coppola per tornare indietro al grandissimo "Orizzonti di gloria" di Stanley Kubrick. Più che film di guerra, film sulla guerra. Allo stesso modo l'opera di Herzog interiorizza il dramma umano e l'orrore profondo di chi ha dovuto lottare per la vita a migliaia di chilometri da casa.

Pur essendo il primo vero film "hollywoodiano" del cineasta tedesco, manca quella propensione all'azione che è tipica di gran parte del cinema americano. Herzog si "limita" a raccontarci una storia, senza andare a fondo nelle vicende prettamente belliche del conflitto. Le sequenze action sono ridotte all'osso e quella che apre il film sembra mostrarci un Herzog un po' fuori luogo nel tenere a bada effetti speciali e spettacolarità. Sono i rapporti umani, nella loro crudezza e primitività, quelli su cui si concentra Herzog: il campo di prigionia diventa il microcosmo da analizzare con fine "antropologico". Non c'è nessuna emotività e comprensione negli occhi del nemico e solo "Jambo" (uno dei guerriglieri) darà loro un minimo di aiuto. Lo sguardo del regista si rivolge anche all'interno del gruppo, ulteriore micro-sezione di un mondo di tensioni e paure.

Werner Herzog dirige mutuando il suo stile documentaristico e puntando molto sulla camera a mano, scelta saggia ed efficace nel rendere palpabile la "violenza" della giungla. L'autore lascia da parte qualsiasi licenza di emotività e immerge i suoi personaggi in una natura ostile e brutale. E' quella giungla che è elemento cardine di molti titoli che hanno portato sul grande schermo l'epopea del Vietnam. Come esclama uno dei detenuti, "è la giungla la vera prigione". Il regista bavarese concede poco allo spettatore e plasma un'opera che punta tutto su di un realismo scarno ed essenziale. Herzog indugia sul trascorrere del tempo, sulle trasformazioni fisiche dei prigionieri, sui loro volti sempre più scavati e stanchi (con Bale che torna a lavorare sul fisico a breve distanza da "L'uomo senza sonno"). Non c'è spazio per infarcire una storia di sopravvivenza con sentimentalismi fuori contesto. Quello che interessa ad Herzog è raccontare una cronaca umana e descriverne la fame, il dolore, la sofferenza. Pone l'essere umano di fronte alla natura selvaggia che distrugge il fisico e la mente, discorso già esposto in "Apocalypse Now", pietra di paragone ineludibile per qualsiasi film sulla guerra in Vietnam.

"L'alba della libertà" è un film che vive delle tendenze da documentarista tanto care ad Herzog. Il suo stile riconoscibile e profondamente "europeo" toglie in parte vigore ad una pellicola che a tratti appare "abulica" e manieristica nella sua messa in scena ma che possiede anche una notevole capacità di rimanere personale ed autentica, senza l'urgenza di doversi schierare politicamente.

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