Chissà cosa ha spinto i corvi a spiccare il volo nel campo di grano di Van Gogh.

Ci sono volti, opere, paesaggi e persino case che suscitano interrogativi da ogni poro.

I corvi volano, lo sguardo si spinge oltre il dipinto e la mente vaga: dove stanno andando? Cosa provava Vincent mentre li ritraeva?

Certo, la litanìa nascere-crescere-morire è nota. Certo, lo spleen di tanto in tanto ritorna ancora a offrirci da bere. Ma se questo famoso (e inflazionato) male di vivere dipendesse dalla nostalgia del Prima?

Prima dell’eterna sfilata di tutte le nostre età (passate, presenti e future), prima che sìano fagocitate dai relativi loops, dalla loro inesorabile successione. Prima che Basinski celebri il Requiem post-moderno della nascita-vita e infine disintegrazione delle nostre routines masticate dalle fauci dell’impassibile Mola.

Ambient? Avantgarde? Musica concreta?

Basinski concepisce piuttosto poemi esistenziali, ne ha il talento e la visione. Questo “Shortwavemusic” (costruito sul mixaggio e l’elaborazione al computer delle onde corte di trasmissioni radio) non fa eccezione.

La sinistra oppressione di bordoni sintetici che scavano solchi profondi in lividi campi sferzati da malattie. Le dissonanze stridenti e sparpagliate, i selvaggi tape loops che sembrano le piume perdute da uno stormo di corvi in fuga da qualcosa, piume che vorticano a mezz’aria, piume unte e rilucenti.

Basinski dissemina ombre sfuggenti nei campi lunghi, abbozza profili inquietanti nei piani sequenza e la fatale attesa con cui sfuma i paesaggi notturni crea la stessa occulta suspense di un racconto di Poe.

Le pennellate si fanno più grevi e febbricitanti, l’orizzonte si gonfia di nubi. Cosa cercava Vincent? Cosa non riusciva a vedere? Le folate elettroniche di Basinski, massicce come piombo e cadenzate come processioni, schiacciano la tela e caricano l’aria di presagi.

Siamo all’inferno? Forse, ma pur sempre un inferno umano dove una via di fuga, per quanto disperata, è sempre possibile. Questo disco pare la variante terrena di “Stalker”, capolavoro dark ambient firmato dall’accoppiata Robert Rich & Lustmord dove la tensione luciferina del sound non lasciava nessuna speranza a chi si fosse inoltrato in quel gorgo oltre-mondano.

E la scappatoia Basinski ce la mostra nel baccanale rumoristico finale dove, in filigrana, una melodia ascensionale al sintetizzatore reitera una frase. Cosa dice quella preghiera? Cosa emerge da quel calderone fumante dove sfrigolano e si contorcono spasmi elettronici in continua ebollizione?

Ora vorrei tornare” pare abbia detto Van Gogh prima di morire. Lui che si auto-inflisse una fucilata nel ventre: la sua liberazione, la sua via di fuga, il biglietto per il suo Prima.

Perché volano i corvi nel dipinto? Spaventati, presagiscono il rombo di quella fucilata. Dove stanno andando? Dove sarebbe andato Vincent di lì a poco: tornano a casa.

Bisogna immaginare quei corvi felici.

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