La penna di William Faulkner ha la stessa forma della mia navicella spaziale. Mi ci sono seduto dentro e dal forellino mi sono fermato a vedere un mondo nuovo. Fermo, attendevo. Poi ha fatto click, la punta è uscita e io sono stato catapultato fuori, guizzante come uno sputo mi sono immerso tra le righe di un mondo strano, dove alcune persone ancora profumano di alberi.

E' la contea di Yoknapatawpha, questa sera forse c'è la fiera, al primo rintocco il negro molla tutto e ci va... se solo riuscisse a ritrovare il suo quarto di dollaro. L'ha perso, gli è caduto dalla tasca bucata. L'ha cercato al fiume, ma niente. Ha trovato solo una palla da golf. Ha provato a vendere la palla, ma, si sa, con i bianchi non ci si può avere a che fare. Gliel'hanno presa e basta. Niente soldi. Va via. Mi sono fermato sulla veranda di questa casa che il tempo ha riempito di sventure, a fissare gli alberi che silenziosamente conducono alla strada e Benjy era ancora in cucina ad arrampicarsi sulla fiamma che dal fornello si cospargeva sui muri, mentre Dilsey aggiustava la torta comprata alla bottega. Ma cos'è il tempo se non il mercatino delle pulci dove si compravendono le sventure? Quentin lo sa, se ne è accorto. Quentin ha staccato le lancette del suo orologio e le ha buttate, ma ci sono volute ore prima che il ticchettio diventasse impercettibile e pure quando sembrava lontano, perso tra i corridoi di Harvard, lontano, via per sempre, affiorava. Affiorava in questo tram che non trasportava nemmeno un negro. Come quando ti servono, pensò. Mai conosciuto un negro che risponde presente quando ti serve, pensò, mentre sfiorava i rilievi dei numeri con il pollice. Affiorava mentre scappava lungo il sentiero dagli schizzi dei tre ragazzi, con la bambina che stingeva al petto la sua pagnotta. Affiorava davanti al giudice, ma che sono sette dollari per chi del tempo non ha più paura? No, giudice. Non è colpa sua se cani e bambini non fanno altro che seguirlo, disse. Il giudice fu d'accordo, ma devi pagare il tempo. Tu che non percepisci il tempo, me lo dovrai pagare... un giorno o l'altro. Poi morì, dopo essersi congedato dal mondo. Pensò a Caddy, a Benjy, ma era già morto. Sono stato in macchina con Jason, dico. Alla ricerca di Quentin, la nipote con la stessa faccia dello zio Quentin e della madre, Caddy, maledetta puttana, dice. Madre, avrai mai un negro che valga la pena d'ammazzare? Madre, quando morirai porterai con te i tuoi negri, non ho più voglia di dargli da mangiare, dice. La mia schiena lavorerà solo per la mia bocca, dice. Caddy si doveva sposare con un tale che possedeva una banca. Questo tale aveva promesso a Jason - l'unico dei tre figli che sapeva qualcosa del lato materiale della faccenda - un posto, un lavoro. Poi è andata male, Caddy è stata cacciata di casa e Jason s'è trovato l'animo avvelenato. Anni a recriminare, a supporre. Veleno puro. Ve la faccio vedere io, giudei di New York, dice, ve la faccio vedere io. Forse pioverà, è il momento di puntare tutto sul mercato del cotone, il prezzo andrà alle stelle. Non vuole vincere, Jason. Vuole solo recuperare il terreno perduto. I soldi che gli spettano, fanculo il resto.

Quattro racconti, tre in prima persona: uno per Benjy, trentatre anni di ritardo mentale; uno per Quentin, avvelenato dalle proprie passioni; uno per Jason, avvelenato dal rancore. Il quarto, con narratore onnisciente, segue passo passo - fin sopra le scale - i passi affannosi di Dilsey, la serva nera che cucina per tutti, che ha seguito la storia di questa famiglia, anno dopo anno, veleno dopo veleno. Questa famiglia morta, alle soglie della grande crisi.

Come se "Cent'anni di solitudine" fosse costituito di soli pensieri, come se il Joyce dell'Ulisse avesse riscritto "Cent'anni di solitudine" mentre ascoltava il Nick Cave di From Here to Eternity. Come un "I pugni in tasca" fatto a colori. Con troppi colori. Non troverete un altro esempio di flusso di coscienza così efficace e non troverete facilmente un altro libro così doloroso, pesante, come se le lettere fossero bassirilievi scolpiti sul cemento armato. William Faulkner cospargerà il vostro cervello sul tempo che si avvolge su sé stesso. Sarà una bella sensazione. Forse.

La parola è il pezzo di legno a "Y", Faulkner è l'elastico e voi siete il piccolo e dozzinale sassolino. Un sassolino che può arrivare lontano, molto lontano con un buono elastico.
Io sono arrivato a Yoknapatawpha, e chi se lo aspettava!?!

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