In order for life to have appeared spontaneously on earth, there first had to be hundreds of millions of protein molecules of the ninth configuration. But given the size of the planet Earth, do you know how long it would have taken for just one of these protein molecules to appear entirely by chance? Roughly ten to the two hundred and forty-third power billions of years. And I find that far, far more fantastic than simply believing in God.” (Col. Vincent Kane)

In un castello ricostruito, pietra su pietra, negli Stati Uniti dopo esser stato “trasportato” dall’Europa il governo americano ha stabilito un ospedale psichiatrico per soldati con turbe psichiche da postumi della guerra in Vietnam (tra di loro anche un astronauta, interpretato da Scott Wilson, che all’ultimo momento si è sottratto da una missione lunare manifestando sintomi psicotici). Uno psichiatra militare (Stacy Keach), giovane e con metodi innovativi, instaurerà un rapporto profondo con molti dei reduci e soprattutto con l’ex astronauta vedendo così compiersi il suo destino…

Per il suo esordio (1980) alla regia Blatty (già sceneggiatore, Oscar e Golden Globe,  de “L’Esorcista”, 1973, tratto dal suo romanzo del  ‘71)  sceglie di riadattare ancora una volta un suo libro (“Twinkle, Twinkle, ‘Killer’ Kane”  del ’66) mettendo il secondo tassello di una ideale trilogia, dedicata al conflitto tra il Male e il Bene, che concluderà nel ‘90 con “L’Esorcista III”  (trasposizione del suo “Legion”, 1983) e vincendo il secondo Golden Globe come sceneggiatore.

Pretenzioso (famosa la recensione del Guardian: "Le sue pretese bastano per risollevare il Titanic e farlo riaffondare") , prolisso, carico di significati filosofici e religiosi portati all’estremo, schizofrenico nell’alternare lunghissimi dialoghi e monologhi ad esplosioni rigurgitanti di un simbolismo visionario ad altre di violenza a prima vista gratuita, non riscosse un gran riscontro al botteghino ma si è guadagnato negli anni (anche grazie ai vari “director’s cut” tra cui l’ultimo che lo ha ridotto a una durata di circa due ore) la fama di film di culto.

Pellicola dalle premesse affascinanti e dalle conclusioni per lo meno discutibili, se non arroganti (la sensazione è quella che si tenti di dare la prova dell’esistenza di Dio o per lo meno che si giustifichi l’inutilità del Bene con l’immoralità del Male) vede da una parte i detrattori accusarla di un voluto e cosciente sfoggio, fine a se stesso, di nozioni filosofiche e religiose e dall’altra gli estimatori andare in solluchero per i complicati e cerebrali sillogismi affidati sia allo script che all’estetica fortemente simbolica.

Come al solito tutti hanno ragione e  tutti hanno torto: né una ciofeca né un capolavoro ma solo un film, dalla sceneggiatura “multistrato” (non solo concettualmente ma anche effettivamente visto che il film sembra partire come una parodia antimilitaresca e si trasforma, via via, in dramma psicologico)  ma solidissima e da una regia troppo (volutamente?) statica, che offre un tentativo diverso di spiegare molti (forse troppi) temi dell’esistenza e che viene inquadrato dentro a un filone (quello delle opere dedicate alle conseguenze psicologiche del conflitto vietnamita) sempre affascinante. Un film che è stato importante nella mia adolescenza ma di cui ora riconosco le inevitabili debolezze che stanno proprio in quel spirito assolutista che è proprio, paradossalmente del relativismo.

Da vedere comunque, nel bene e nel male (nelle info vi allego la versione disponibile sul Tubo).

Mo.

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