Capita che non si sappia da dove iniziare. Forse perché non ci si sente all'altezza o perché le cose sono tante e colpiscono direttamente al cuore. Davanti a "Strade Morte" (il cui titolo iniziale doveva essere La famiglia Johnson), tornato in libreria grazie alla casa editrice Elliot a 25 anni di distanza dalla prima uscita in Italia nel 1983, si sovrappongono due sensazioni che bisognano d'ansiolitici entrambe. Allo smarrimento iniziale sussegue una foga di lettura che pompa sangue veloce. Un'emorragia di sensazioni e di occasioni (generazionali) mancate.

William Seward Burroughs (1914-1997) che definiva se stesso come un drogato omosessuale pecora nera di buona famiglia, ti inonda, ti colpisce, ti stupisce, ti sbatte, ti sfotte, ti fa ridere e talvolta ti soffoca. Altro non puoi aspettarti di uno che afferma che la cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili. L'artefice della beat generation insieme a Kerouac, Ginsberg e Cassady (ai quali si aggiungeranno di seguito Corso, Ferlinghetti, Lamantia, Leary, McClure, Sanders, Kupferberg, Orlowski, Giorno e molti altri), richiede allenamento. O ti immedesimi o ti perdi il bello. E non è facile immedesimarsi nella logica caotica del personaggio principale, il tiratore, il padrone della pistola, Kim Carsons, fratello cattivo e più figo di Jesse James, omosessuale, poeta che legge Rimbaud e medico, dalla lucidità surreale. Quién es Kim Carsons (ovvero William Seward Hall)? L'alter ego di Borroughs è' un giovane spregevole, morboso, dalle tendenze malsane e dall'appetito insaziabile per gli stremi e il sensazionale è tutto ciò che s'insegna a detestare a un normale ragazzo americano (...) dedito alla pratica sovversiva di pensare.  Un figlio di puttana talvolta adorabile talvolta detestabile, insomma.

Ma partiamo dall'inizio. Da una sparatoria, nel più classico stile western, s'impenna una storia circolare in tre parti in cui Kim Carsons e i suoi tirapiedi (la famiglia Johnson, modo di dire del sud per riferirsi ai dannati) tentano di salvare la galassia dagli alieni che vogliono sottometterla. Nel vagabondaggio che va dai satelliti della Stella del Cane a Parigi, Londra, New York, New Mexico, Tangeri e Venere, si attraversano le porte di una psichedelica (e psicotropa) percezione del tempo e dello spazio che ci trascina senza via di scampo nella lotta per il controllo. Copulazioni omosex, divinità, riti, droghe, pistole e personaggi dai nomi bizzarri sfilano nella mente come frammenti di un sogno verbale. Un mondo maschile, spietato. Un amplesso cosmico di pistoleri da calendario con addosso solo la fondina e gli stivali. Sicuramente né western né fantascienza. Ma tutto insieme. Buon western e buona fantascienza.

Il tutto reso possibile grazie alla sperimentazione del cut-up, sviluppato assieme a Brion Gysin che con precedenti dadaisti articola collages narrativi e de-struttura (e spesso distrugge) le norme sintattiche e semantiche. Burroughs lottava contro il linguaggio come contro qualsiasi forma di omologazione o repressione del pensiero da parte dei manipolatori della parola e considerava l'essere umano la sua vittima poiché questo, con le sue norme grammaticali e sintattiche, agisce come un organismo parasita, un virus che trova il proprio habitat nelle nostri menti. La mia teoria di base, affermava, è che la parola scritta è effettivamente scaturita da un virus. Non è riconosciuta come virus perché è stata assimilata stabilmente e in maniera simbiotica dal suo ospite. La quasi illeggibilità delle prime opere, si addomestica progressivamente e con la trilogia formata da Città della notte rossa, Strade Morte e Terre d'occidente riesce ad articolare una sottile destrutturazione che trova l'equilibrio tra sperimentazione, rivoluzione e accessibilità di lettura.

Appunto grazie al cut-up, sull'orlo dell'allucinazione, passaggi una lucidità lancinante e rabbiosa che fecero di Burroughs il guru di ben tre generazioni di perduti. Basta leggere la meravigliosa "lista degli obiettivi e caratteristiche degli alieni", esilarante quanto reale ritratto del pensiero reazionario più duro. Non di meno Ciò che contraddistingue uno fondamentalmente stronzo è che lui deve essere sempre nel giusto. / La gente non viene indotta a tacere su ciò che sa. Viene spinta a non capire. /La vita è un groviglio di menzogne che tendono a nascondere i suoi meccanismi di base. L'unica cosa che spinge l'Homo Sapiens a muovere il suo culo di piombo è l'obiettivo di salire di mezzo metro.

 La felicità è un prodotto collaterale della funzione. Coloro che cercano la felicità per se stessa cercano la vittoria senza guerra. Questa è l'incrinatura di tutte le utopie. Una società, come gli individui che la compongono, è un congegno progettato per uno scopo. Per quanto riguarda quello che può valere la vita quando lo scopo non c'è più...

Non saprei se effettivamente la beat generation fu un'utopia incrinata dall'inseguimento della vittoria senza guerra (anche se di guerre ne videro e non poche). Strade Morte, scritto in pieno rozzissimo reganismo, è una visione sulla decadenza dei valori alla base del mito americano. E di certo riesce difficile capire che generazioni dalle visioni così rivelatorie abbiano tradito grettamente la lotta contro l'omologazione delle menti, facendosi roccaforte dentro di una, per essere buoni, vergognosa aristocrazia intellettuale da club esclusivo. Certo invece che quelli dopo hanno ereditato una delusione desolatamente orfana. Stando alle sue parole senza scopo quanto possono valere le nostre vite? ...un'altra storia, senza dubbio.

Due cose. In ogni caso non una lettura facile, da leggersi dopo una breve iniziazione e un sincero oblio. Burroughs, dopo aver esplorato gli abissi, è morto a 83 anni. Non frenare fa bene alla salute. A voi la palla.

nina snarvic

Elliot edizioni, Collana Raggi - Traduzione Giulio Saponaro - pp. 410 - Prezzo di Copertina: euro 22,00 - Luglio  2008- ISBN 9788861920385

Carico i commenti...  con calma