Komorebi è una parola giapponese che significa: "la luce che filtra tra gli alberi".
Questa non è l'unica chiave di lettura di Perfect Days, l'ultimo film di Wim Wenders, che narra, con delicatezza e semplicità, alcune giornate della vita routinaria di un sessantenne giapponese addetto alle pulizie di bagni pubblici, dislocati nei luoghi più svariati di una Tokio luminosa, pulita e ordinata, e impersonato dal bravissimo Koji Yakuso, attore già pienamente apprezzato in "Babel" e ne "Il terzo omicidio".
Il film non necessita di particolari lenti per approfondirne la comprensione, come nella chiave di lettura che ho proposto all'inizio e che ci viene comunicata al termine della visione. Si tratta in realtà solo di un'informazione aggiuntiva che ci fa capire come nella lingua giapponese esista una sola parola per descrivere qualcosa (il gioco di luci e ombre causato dai raggi del sole che filtrano tra le foglie degli alberi) che nella nostra lingua invece può essere reso solo attraverso un'intera frase articolata.
E se questo è anche il leit motiv che scandisce tutte le uscite mattutine, le pause pranzo al parco e i sogni notturni di questo solitario e taciturno addetto alle pulizie che svolge ogni giorno il suo umile lavoro con precisione, puntualità, rigore e, aggiungerei anche, senza timore di smentita, con "amore", allo spettatore non resta che lasciarsi condurre in questo gioco quotidiano e ripetuto, intervallato solo da brevi variazioni occasionali (le esigenze amorose di un giovane collega sfigato, ma dal cuore buono, la comparsa di una nipote che apre un breve squarcio su un passato probabilmente da dimenticare e/o dimenticato, un'enigmatica partita a tris e altri brevi incontri) senza dover pensare ad altro che al poetico scorrere delle immagini.
Koji Yakuso dà vita a un personaggio di una gentilezza così squisita e di una raffinatezza di modi talmente ricercata, che invece di creare un contrasto con la natura del proprio umile lavoro, riesce addirittura a nobilitarlo.
La sua serenità non viene quasi mai turbata e, le poche volte che accade, viene subito ripristinata dal sorridente sguardo rivolto verso il cielo per cogliere, fotografare e conservare in maniera metodica il komorebi.
Il film si regge completamente sulle sue spalle e sulla sua espressività facciale (gli occhi soprattutto), vista la sua costante laconicità, e viene arricchito da famose musiche degli anni 60 e 70, che lui ascolta quotidianamente grazie all'ausilio di vecchie audiocassette. Tra queste spicca la bellissima "Perfect Day" di Lou Reed, che dà il titolo al film e viene riproposta anche in una versione solo piano durante i titoli di coda.
È un film dove non succede niente di straordinario, se non che forse qualsiasi vita, anche la più comune e anonima, è in se stessa straordinaria, se vissuta con pienezza e serenità, portando a termine ogni giorno il proprio compito e fermandosi, sempre quando è possibile, a ricaricare lo spirito, riuscendo a scorgere quel qualcosa in più che balena tra luci e ombre in mezzo al verde delle foglie.
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Di Anatoly
La vita moderna viene consumata senza essere mai veramente stata vissuta.
Perfect Days è la consapevolezza di questo, e la felicità di essere vivi in ogni caso.