"La ribellione oggi non ha più senso, tutto è permesso, tutto è concesso, non c’è più nulla da cui ribellarsi, rimane solo da ribellarsi alla troppa permissività, insomma un conservatorismo al rovescio, dove ad interpretarlo saranno i giovani e non più gli anziani genitori " (Colin Newman)

Gli Wire del 2003 sono una band avanti 20 anni, gli Wire del 1979 erano una band avanti 20 anni, gli Wire sono una band tra le più geniali di sempre, eleganti, minacciosi, oscuri e rabbiosi: li avevamo lasciati col capolavoro 154 del 1979, dopo le brevi comparse degli anni 80. È questo il disco che sancisce il poderoso e stupefacente reingresso nella scena musicale, e lo fanno con Send, un impressionante documento talmente vitale che alcuni dei gruppetti di oggi dovrebbero rendergli omaggio.
Inseriamo il cd nel lettore e tutto ci è più chiaro, la techno punk dance martellante e frenetica di certi brani supera il limite consentito di BPM, ma lo fanno con cognizione di causa, non per romperci i timpani e basta, gli Wire non inondano il mercato musicale già saturo se non hanno qualcosa di importante da dirci. Dal nulla se ne escono con un monolite incandescente di materia ultraterrena che non è proprio rock, ma è l’unico rock possibile oggi. Il senso di claustrofobica contemporaneità ha dell’incredibile, Alec Empire e Trent Reznor hanno tutto da imparare da queste 11 tracce dei maestri. Non parlo dei singoli brani, talmente uniformati quali sono, mi limito a dire che nella parte centrale del disco pare di sprofondare in un incubo epilettico di veneti cerebrolesi appena usciti da un rave, punk industrial allucinato assolutamente disarmate nella sua cibernetica linearità, il finale di 99,9 è opprimente , alieno e ricco di paure ataviche (aliene, o umane, fate voi).
Oggi anno 2004 invece di 154 abbiamo le discoteche. Riempitevi di droghe sintetiche e smart drugs, fumo, alcolici e subitevi per 4 ore quel tum tum tum para tum tum tum para tum tum tum... non state soffrendo (vi state divertendo... si si, immedesimati che ti stai divertendo, fallo per il tuo gruppo di amici almeno o per la tua donna eheheh che si divertirebbe anche nel bel mezzo di un attacco nucleare eheheh)... vomiterete... non ci vedrete più... un mal di testa poi... non capirete più un cazzo... tum tum tum para tum tum tum... quel suono monotono. Di corsa a casa una dormita e sarete pronti a subirvi la più monotona delle settimane... Send aggira tutto ciò con la classe superiore di questi 4 signori di mezz’età: Colin Newman cinico e punk scazzato anche a 50 anni, Graham Lewis sempre più ambiguo ed oscuro come in passato, la chitarra di Gilbert sempre avanguardista, e la metronomia pazzesca di Gobelard.
Per chi adora musica esagitata, frenetica e violenta (ma artistica) questo disco procurerà loro brividi carnali del tipo “Prendi il volo, trascinami con te”, ma basterebbe solo amare gli Wire per non rifiutare questa dichiarazione d’intenti geniale da parte di 4 cinquantenni.
Dove vogliono portarci i Wire? Forse vogliono far percepire alla generazione dei rave quale sia la via salvifica dell’ottuplice sentiero senza uscire dalla cultura dei rave e dello sballo?

Solennità epica e sacrale di un breakbeat che conduce inesorabilmente al trasalimento. Il nero, Oscuro e opaco come un fondo di caffè, l’angoscia, grigio di muffa, la plastica, marrone escrementizio, panna rancida, il volo, il colore degli spurghi dell’anima, la danza. Spezzettature e assoli, i circuiti elettronici, abissi di senso. La vita richiede illusioni che sorreggano l’esistenza (il breakbeat può essere l’illusione che sorregge il divertimento e l’estasi di una vita?). Un milione di automobili fatte di gomma vegetale e di fantasmi, un milione di giovani e strafatti rave-boys and girl strafatti la notte e bravi ragazzi il giorno, adunati per l’eccidio nella 114 strada per amore di un antiquata fabbrica occupata e trasformata in rave party, la voce commerciale dei saponi, i manichini dei dentifrici negli schermi televisivi, deodoranti su sedie ipnotiche, stilicidio di gas paralizzanti alla radio, tutto questo è Send.

Gli Wire volevano stupire e ci sono riusciti. Aspetterò con ansia la prossima parola dei maestri, aspetterò anche 10 anni.

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