Aristotele vedeva come partenza dei suoi studi la meraviglia, che via via portava a chiedersi il perchè del che. La stessa meraviglia provo io nel sentire il nuovo lavoro dei Young Widows, e mi chiedo "perchè?" e mi appresto a trovare pure il che, e in culo ad Aristotele.
La strada che li ha portati da "Old Wounds" a questo nuovo lavoro è intrisa di polvere, il sangue che spillava limpido dalle ferite inferte dalle distorsioni ora si incancrenisce sotto la cenere, diventa un ricordo pesante, che si instaura nel cervello, un arrugginito chiodo fisso, e la luce si abbassa, per dare possibilità agli spettri di divorare le sensazioni di noi ascoltatori.
Le porte di questa casa diroccata del Kentucky vengono aperte dalla splendida "Young Rivers", con l'arpeggio di chitarra in botta e risposta con una voce calda, memorie di americana, echi di malinconia, e si rispondono pure le percussioni, via via che il pezzo si snoda per queste strade perdute. La furia soggiogata di "Future Heart" è qualcosa di splendido, punk sotto le mentite spoglie di voci waitsiane, tiratissima, serrata e piena di sangue. Ma il meglio deve ancora venire, la title track è una ballata sabbathiana percussiva, la voce è sempre più cupa, le chitarre, pur tessendo melodie alte sono distorsione allo zenith. Mi tornano alla mente i Tomahawk di "Anonymous" sulla palmutatissima "The Muted Man", che cammina sottopelle, con rare staffilettate di chitarra a crescere, uno stoner ubriaco di noise. Una nozione speciale allla finale "In And Out Of Youth" con un mantra infinito che introduce alla fine delle speranze della giovinezza, fino ad esplodere in una neurotica marcia fatta di esplosioni, raccontata senza pietà dalla voce di questo novello uomo in nero che è Evan Patterson.
Ho riempito un barattolo di gelato con della sabbia per accompagnare degnamente questa mia colonna sonora estiva. Buon appetito.
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