Il colore è materia. Può essere una polvere minerale, una sostanza vegetale, il risultato della lavorazione di sostanze provenienti dal mondo animale... noi che li usiamo gli imponiamo dei nomi per riconoscerli: ocra gialla e bruna, terra di Siena naturale, lacca di garanza chiara e scura, violetto rossastro e scarlatto, violetto cobalto, violetto di marte, bruno Van Dyck, rosa ciclamino e lilla, porpora... cioè i colori caldi che creano un effetto di estrema vicinanza e di primissimo piano.

Celeste, verde acqua, verde Veronese, blu turchese, e violetto brillante, giallo di cadmio chiaro, ossido di manganese... tinte fredde che fanno da sfondo e da contrasto tonale.

I colori sono i protagonisti assoluti dell'arte: si associano per contrasto e per accostamento di tinte calde e fredde in modo da permettere alle immagini di - venire in avanti - con i contrasti di colori caldi, e all'orizzonte di - allontanarsi - verso il fondo grazie ai toni freddi.

I cinesi con gli ideogrammi danno a ogni colore un'immagine precisa fondata su qualcosa che tutti possono ri-conoscere. Per noi occidentali tutto, anche definire un colore, è più complicato e astratto. Com'è possibile dare un'immagine che con le nostre parole possa descrivere lo zincato di cobalto, cioè l'azzurro ceruleo, ma certo, il mantello della Madonna. Pura astrazione. Intanto vorrei conoscere qualcuno che abbia visto e conosciuto la Nostra Signora degli Angeli e che l'abbia vista indossare un mantello azzurro, poi ne parliamo.

Per gli artisti il colore è uno dei principali strumenti della comunicazione artistica o visiva, con il colore l'artista stabilisce un rapporto che coinvolge tutti i suoi sensi esattamente quello che prova un musicista con il suo strumento, fatto di odori, vibrazioni tattili con la materia che compone l'arpa, l'archetto del violino, il legno del violoncello o di una chitarra, l'avorio di un tasto... arte vuol dire questo: costruire e poi immergersi in un universo in cui la mente utilizza ogni tecnica sensoriale per esprimersi.

Immaginare l'infinito vuol dire cercare di vederlo. Come? Per esempio attraverso una sua rappresentazione fisica. Questo desiderio di raggiungere con la propria mente l'intangibile infinito, porta a due diverse soluzioni: pensare a qualcosa di etereo, impalpabile, irraggiungibile e smisurato (il cielo grigio che sfuma nel medesimo colore plumbeo del mare, la linea frastagliata del deserto che conduce verso il nulla ect.), oppure dargli forma, facendolo diventare un'opera che i nostri sensi percepiscono, attraverso un insieme di colori e di segni, che servono anche a raccontare delle storie (Il piccolo principe di A. de Saint-Exupéry, La dance di H. Matisse, Blu III di J. Mirò...)

Per un artista dell'immagine dipingere l'infinito è sempre stata una sfida da cogliere. Naturalmente questo non è facile: disegnare uno spazio, che va oltre ogni umana comprensione, ha bisogno di simboli, di colori e di tecniche di rappresentazione. Per fare questo non è sufficiente avere un'idea perché, per quanto brillante possa essere l'intuizione che scaturisce dall'intelletto, alla fine bisogna realizzarla e darle forma.

Ci riesce Yves Klein, un artista francese che nel 1955 tiene la prima esposizione a Parigi con pitture monocromatiche.

L'anno successivo inventa una particolare tonalità di blu, il colore che preferiva perché gli ricordava le profondità del cielo, e che chiamerà International Klein Blue (IKB) definendolo come l'espressione più perfetta del blu e la monocromia l'esito ultimo della sua ricerca pittorica.

Nel 1960 farà parte del gruppo dei Nouveaux Réalistes, il cui manifesto fu redatto da Pièrre Restany che in un articolo sul New Realism del 1963 scrive: " (...) Yves Klein, morto poco tempo fa a Parigi a 34 anni dopo una carriera meteorica, rimane il membro più estremista del gruppo. Nelle sue Proposizioni monocrome del '57 egli concentra tutta la sua forza espressiva inerente all'atto del dipingere in pannelli uniformemente coperti di colore industriale di un azzurro puro. Poco dopo comincia a lavorare con foglia d'oro, e poi, volgendosi all'intangibile, tiene una mostra di cornici vuote, e inventa un'architettura costruita d'aria insieme a una pittura e scultura composte di fuoco".

Potenza dell'invisibile e dell'infinito, che sia una ricerca fatta in pittura o in matematica il fascino dell'invenzione umana è sempre strabiliante, come disse Ennio De Giorgi, il matematico che nel 1957 riuscì a risolvere il diciannovesimo problema di Hilbert dopo che nessuno ci era riuscito per più di cinquant'anni: "La matematica mi permette di approfondire la realtà, di passare dall'osservazione delle cose visibili all'immaginazione di quelle invisibili". Per finire ho accostato un matematico a un artista perché entrambi usarono l'immaginazione e la creatività per risolvere uno dei tanti problemi che l'umanità si trova ad affrontare: come rappresento l'infinito?

Alla prossima.

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