Non ci sono molte figure pari a Zerocalcare. Pari non solo nel senso di qualità, di pregevole fattura di quanto prodotto: anche nel senso che in pochi fanno quello che fa Zero. Politica, introspezione, ironia, scazzo, punk, "daje", seghe mentali... ciò che sembra la descrizione del coglione perfetto si rivela nei suoi fumetti l'apotesi del genio.

Il suo ultimo fumetto è un'opera matura, e fin qua tutto okay. Di cosa parla? È una riflessione principalmente introspettiva e legata a suo padre e alle sue origini, che ripercorre vari ricordi del fumettista cercando di riassemblarli. Il padre di Zero è, in effetti, ben meno citato rispetto alla madre nei fumetti. La buffa papera riveste un ruolo ora macchiettistico ora fondamentale, ora recita la parte del pornomane, ora quella del padre, ora quella vecchio rimbambito, ora quella del giovane barricadero. Indubbiamente lo spunto proposto riguardo alla figura del padre come persona, che appunto in quanto tale è una riflessione che si può fare su tante persone che si conoscono, è impressionante. Tuttavia non credo che l'obiettivo del fumetto sia farti dire "perdinci, forse anche mio zio aveva una pistola nel '76! Vediamo se Barbero lo cita nei documentari sulle BR!". La butto sul ridere, ma quello che intendo è che la figura della persona che è Ping Ping ha sì valore in sé, ma ovviamente il centro è il protagonista, che rilegge tutto e fa sua la narrazione.

L'ambientazione - udite udite - non è Roma, non è Rebibbia, non è la bolgia di risse tra naziskin e S.H.A.R.P., non è il divano in compagnia dell'armadillo né i centri sociali, bensì le montagne. Come ci si finisce lì? Beh, niente spoiler: scoprire la trama spetta al lettore. Ovviamente questo aspetto (insieme ai continui salti temporali) gioca un ruolo di rilievo, contribuendo a creare un'atmosfera opprimente, piena di mistero, che semra far riaffiorare un angosciante passato, quasi macabro: è esattamente questo l'intento. In una parola: fuoriclasse. Fuoriclasse perché Zerocalcare è il maestro delle atmosfere (è il maestro di un sacco di cose in realtà), specie quelle malinconiche et similia. Ma qua gioca un asso, con le vibrazioni sfuggenti e complesse che si rivelano crude e aspre. Va detto che, alla lunga, questo elemento ha un riscontro anche negativo, perché vengono meno i momenti più spensierati tipici dei libri a episodi che amiamo. Ma questa è una scelta stilistica che rispettiamo, peraltro non nuova visto che un'aria simile è presente anche nei due libri delle macerie. Ecco, invero proprio su questo non essere nuovo ci dobbiamo soffermare, perché qua rischia di risiedere un vero difetto, critica che in tanti muovono a Zerocalcare, nonostante ciò non scalfisca la sua grandezza. A' Miche' ma ci parli sempre delle stesse cose. Mi spiego meglio. L'innovatività di "Quando muori resta a me" è indiscussa, per argomento e metodo; tuttavia molti temi trattati non sono nuovi. L'idea del fare figli o no, ad esempio, ma più in generale quella di sentire che non si sta facendo nulla e si butta il tempo è già nota ai lettori più primordiali ed è presente ovunque, anche nelle vignette sui Bull Brigade. L'impressione è che Zerocalcare tenti sempre di porre un punto a questo argomento "esaurendolo" riuscendo una buona volta a trattarlo in maniera esaustiva. Del resto, forse invece l'intento è di continuare a trattare i propri demoni man mano che si cresce, anche questo segno di maturità.

Che poi in fondo non è vero che Zerocalcare non ha figli: i suoi figli sono una generazione di ragazzi che hanno scoperto la politica grazie a lui, che hanno scoperto il punk grazie a lui, che hanno ritrovato il sorriso grazie a lui. Il personaggio italiano culturalmente più influente degli utlimi anni? Sicuramente un buon candidato.

Tirando le somme: un libro che non mette da parte la vena ironica ma la mette a servizio di argomento pesante, scevro dalla politica, risultando un pochino già letto ma comunque ricco di spunti interessanti. Un altro centro. Voto: 84/100.

Carico i commenti...  con calma