Due uomini, faccia a faccia: il re di Qin e l'anonimo, misterioso prefetto di una provincia minore del regno - Senza Nome il suo nome. Nulla sa il re di questo sconosciuto spadaccino, se non che a lui, e a lui solo, deve la vita. Lo provano le armi che Senza Nome porta in dote; sono le armi sottratte ai tre temibili assassini che da anni tramano nell'ombra contro il re: Cielo, Spada Spezzata e Neve Che Vola. Senza Nome li ha sconfitti tutti, affrontandoli uno ad uno a duello e superandoli dall'alto della sua infallibile, ineguagliabile velocità. Per questo ha ottenuto in premio la possibilità di avvicinarsi al re prima a 20, poi a 10 passi dal trono: possibilità preclusa a qualsiasi altro cittadino di Qin, pena l'immediata condanna a morte. Il misterioso guerriero, sguardo fisso nel vuoto, racconta al re della maestria d'armi, dell'abilità e dell'astuzia che lo hanno portato a vincere i tre nemici. Ma...

C'è un ma, si, ma oltre non posso spingermi: addentrarmi fra le pieghe del sapiente intreccio di "Hero", del resto, significa disvelare molto, troppo del fascino dell'opera; e precludere allo spettatore tutto il piacere della sorpresa. Il mio compito non è questo, specie se il film non l'avete mai visto (ma mi auguro di si); è invece quello di trasmettervi (ma il compito è assai arduo) la magia che da questi 90 minuti e poco più promana. Azzardo: i 90 minuti cinematografici più belli degli ultimi 10 anni, per quello che è forse il capolavoro di Zhang Yimou. Non solo: è un'ora e mezza di puro godimento estetico-visuale, un piacere degli occhi, un trionfo dell'immagine. Un film che, nella sua perfezione - ben dissimulata sotto un manto di ineffabile leggerezza, fa letteralmente impallidire il mosciume, la pochezza e la vuota retorica di facciata delle opere vincitrici agli Academy Awards degli ultimi 5/6 anni; non si tratta di accendere una polemica che facilmente mi tirerebbe addosso l'accusa di ostentato filo-orientalismo, ma di dire che in Occidente - almeno per quanto mi riguarda - si è visto poco, in questo decennio, che possa rivaleggiare con la profondità di "Hero", col suo impareggiabile lirismo. A dirlo è uno fermamente convinto che - dopo il Robertino nazionale - solo 2 o 3 film hanno davvero meritato l'Oscar ricevuto, dunque la mia osservazione vi apparirà forse assolutamente relativa (ma anche inutile, magari). Ma è il modo più immediato e banale per dirvi della SUPERIORITA' di questo film.

Superiorità dialettica: ogni dialogo, ma che dico, ogni singola parola è pesata e misurata, tanto che (almeno per una volta) i dialoghi italiani non fanno rimpiangere il testo originale in mandarino. I silenzi integrano le sezioni propriamente "verbali", i rumori e i sospiri rendono la parola di "Hero" una parola potente, perentoria, vigorosamente assertiva. La trama stessa, del resto, è giocata sulla comprensione e sull'intuizione, sulla distinzione fra verità di fatto e verità parziale, sull'indagine condotta a fondo nella soggettività dei diversi io-pensanti. I nomi (parlanti, nella migliore tradizione epica) dei personaggi sono perfetta integrazione meta-testuale alla vicenda narrata.

Superiorità narrativa, appunto: non solo il tempo di "Hero" non è lineare, in termini di azione scenica (ve ne accorgerete presto), ma è un tempo falsato, sottoposto a sfasamento continuo, denso di analessi e "flash-back", sospeso fra realtà e immaginazione. Il tempo della mente si sovrappone, sovente prevale sul tempo del mondo. Superba la sceneggiatura, capolavoro a sé a prescindere dalla genialità del progetto.

Superiorità scenica: le diverse sequenze (cronologicamente a-lineari, come detto) sono connotate dall'impiego di un perfetto simbolismo cromatico. Rosso, grigio, blu, verde... per un'apoteosi di sfumature e quadri visuali che inducono lo spettatore ad altrettanti stati d'animo: eccitazione, malinconia, rabbia, serenità e altro ancora. Le coreografie classiche del "wuxiaplan", le scene di combattimento e le acrobazie dei protagonisti diventano poesia, oltre la freddezza del semplice effetto tecnico. Il duello (mentale, prima ancora che concreto) fra Cielo e Senza Nome al suono del gu-zheng vi apparirà emblematico.

Superiorità concettuale: senza anticipare nulla della trama a chi il film non l'ha visto, il Maestro Z.Y. si è dimostrato sapiente nell'interpretare e approfondire a modo suo quella dialettica da sempre sentita come urgente fin dai primordi di ogni filosofia: ossia, il rapporto singolo-collettività (o, se si preferisce: eroe-nazione), e ancora la difficoltà di conciliare le pulsioni del primo con il bene (in prospettiva) dell'altra. Fin dove è legittimo sacrificare la propria vita? Esistono interessi superiori, trascendenti la volontà dell'individuo (in tal caso, le sorti della Cina unita), ai quali quale tutto il resto va sottomesso? "Hero" fa riflettere anche su questo, senza perdersi in sterili dibattiti circa il messaggio sottilmente comunista che ad alcuni è parso di cogliere.

Superiorità interpretativa: il meglio della Cina cinematografica (o quasi, naturalmente) è nel cast di questo film. Su tutti: Jet Li nel ruolo di Senza Nome, impenetrabile come un eroe sofocleo; glaciale, spietato, rigido calcolatore; eppure umano, quindi imperfetto, come vedrete. E Maggie Cheung nel ruolo di Neve Che Vola: in quella che rimane la sua migliore performance, la regina del cinema di Hong Kong è magnifica, passionale come non mai nella sequenza rossa, ora sensualmente emotiva ora crudelmente imperturbata nelle altre; è un indissolubile legame di amore e morte quello che la tiene unita all'amante Spada Spezzata, quel Tony Leung tante volte assieme a lei sullo schermo. Dai risvolti immancabilmente tragici. Compaiono anche Donnie Yen e una giovanissima Zhang Ziyi nel ruolo di Luna.

Mi sono dilungato troppo, per la mia prima recensione cinematografica. Ma se uno non si dilunga per certe cose, per cosa mai si dilungherà? 

Meraviglioso.

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