21/3/1983...Viene alla luce The Final Cut. Il mondo gusterà l'ultima fatica dei Pink Floyd nella formazione originale, infatti mai titolo fu più azzeccato. Quello fu l'album che segnò il definitivo distacco di Waters dai Floyd e di conseguenza la situazione era precipitata irrimediabilmente. L'album è in memoria del padre di Roger (Eric Fletcher Waters), ma sembra sia più che altro in memoria dei Pink Floyd stessi. Infatti viene registrato nella più totale indifferenza tra i vari componenti che erano arrivati al punto di non parlarsi. I rapporti tra Gilmour e Waters poi erano notevolmente incrinati... la domanda che allora viene da porsi è come sia stato possibile realizzare l'ennesimo capolavoro. Non è dato saperlo, forse alla fine è la dimostrazione che la musica sa superare tutte le barriere poste dall'uomo!!!

Già dal primo brano si sente che non è il solito album. I toni sono molto più pacati ancora di più rispetto allo standard floydiano. Il peso di un capolavoro come "The Wall" si fa sentire anche in essi stessi che lo realizzarono. Dopo pochi secondi ci si immerge subito in un'atmosfera rilassante, solo tastiera e la calda voce di Waters che ti invita a spegnere tutte le luci, chiudere gli occhi e cominciare a sognare. Un piccolo sussulto nel ritmo lento, un'apoteosi di ottoni e batteria e si è già nel secondo brano del cd. Eccoci a "Your Possibles Pasts". Come solito dei Floyd si passa da un brano all'altro senza che l'ascoltatore riesca realmente a capirlo, ancora una volta tutto l'album è realizzato al punto da sembrare una traccia unica. Anche in questo brano si nota un ritmo molto blando, con la chitarra quasi assente se non fosse per quell'esaltante assolo che fa ricordare a tutti: "Signori sono ancora qui, non sono andato via!" : naturalmente a dirlo è il buon vecchio Gilmour. Il discorso si ripete per tutto il disco, è una costante, un continuo intervallarsi di momenti tranquilli e di improvvisi cambi di ritmo, quasi a simboleggiare le loro vicissitudini.
Ascoltando "One of the few", "Paranoid eyes" e "The final cut" (solo per citare alcuni episodi del disco) si nota come il resto dei brani sia improntato tutto sulla stessa falsariga, rendendolo così uno dei lavori più omogenei dell'intera produzione della band di Cambridge. Forse proprio questo è uno dei motivi con i quali si possono giustificare le scarse vendite (le più basse dell'intera carriera del quartetto britannico).

I contenuti del disco sono velatamente politici, il sound è quello tipico della band di Cambridge, con Waters che la fa decisamente da padrone, assumendosi la quasi totalità delle scelte, partendo dalla struttura dell'album passando per alcuni testi ed arrivando addirittura alla scelta della copertina. Insomma, Waters realizza l'album più "suo" sotto il nome Pink Floyd insieme a "The Wall", con il quale ci sono moltissimi richiami in questo album.
Un disco che non deve mancare a chi ama la band, ottimo lavoro, forse al di sotto dei predecessori ma comunque un album da ricordare nella discografia di Waters e soci.

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