"Registrare The Final Cut è stata una vera impresa, perché fra noi non ci fu collaborazione, non c'era intesa; sul nome - almeno su quello - ci trovammo tutti d'accordo" (Roger Waters).

"Arrivai a dire a Roger: Io me ne vado se hai bisogno di un chitarrista, telefonami" (David Gilmour).

"Doveva essere (riferito a The Final Cut) un seguito del precedente The Wall, perché doveva comprenderne il materiale rimasto escluso....Vi aggiungemmo altri brani scritti ex novo e alla fine risultò qualcosa di assai diverso dalle nostre originarie intenzioni..."(Nick Mason).

Questo disco riesce ad essere la vera essenza di molte delle facciate di Waters che trova modo di esprimere in musica quella molteplicità di concetti da lui già delineati in passato, sviluppandoli a dovere. Come accaduto per "The Wall" un lavoro che vuole rispecchiare l'alienazione di tutti attraverso la sorprendente coralità, in "The Final Cut" trova modo di esprimersi l'assorbimento interiorizzato dell'angoscia, frutto di una vera e propria rassegnazione. Il concetto di questo disco si muove nella visione mostruosa del tormento qui incarnato dal conflitto bellico, ben rappresentato attraverso quel catastrofismo che vuole mettere in luce le infelici sorti dell'umanità.  La musicalità di queste coscienziose tematiche trova melodie lineari e accessibili per qualsiasi orecchio, tracciando sempre uno strettissimo filo di connessione tra parole, suoni ed effetti sonori mai smoderati.

L'intro di "The Post War Dream" tra rumori di macchine e radio in cerca di essere sintonizzate, portano attraverso la recitazione cantata di Waters all'intima rappresentazione dello smarrimento di "Your Possibile Pasts" e alla sofferta ma spontanea schiettezza che trova la giusta forza espressiva in quell'altalena di atmosfere che "The Hero's Return" rappresenta, anche per via delle caliginose sovraincisioni vocali. E' con "The Gunner's Dream" che si entra nel pieno della sofferta speranza che lascia al meraviglioso sax di Raphael Ravenscroft sottolinearne i tratti più strazianti, come all'incisivo testo che ne è piena parte integrante (Night after night - Going round and round my brain - His dream is driving me insane - In the corner of some foreign field - The Gunners sleeps tonight - What's done is done - We cannot just write off his final scene - Take heed of his dream - Take heed = Notte dopo notte - Mi gira e rigira nel cervello - Il suo sogno e mi sta portando alla follia - In un angolo di un qualche campo straniero - Stanotte l'artigliere dorme - Quel che è fatto è fatto - Non possiamo proprio cancellare il suo ultimo atto - Fate attenzione al suo sogno - Fate attenzione).

I brevi interludi sono sempre accompagnati da delle inappuntabili lyrics di completamento, così come all'intero disco è stata riservata la peculiare attenzione per cui si è distinto ogni lavoro a nome Pink Floyd, facendo affiorare spontaneamente quei brani che hanno il compito di far prendere forma ai temi-pilota del disco. E' per questo che la title-track ne esce come uno dei brani più intimi e dove è un'insinuante atmosfera a sottolineare argomenti come l'incomunicabilità e le maschere tanto care a "The Wall", per via di un testo tenacemente suggestivo, per l'occasione espresso anche in prima persona (Thought I oughta bare my naked feelings - Thought I oughta tear the curtain down - I held the blade in trembling hands - Prepared to make it but just then - the phone rang - I never had the nerve to make the final cut = Pensavo di dover svelare i miei nudi sentimenti - Pensavo di dover lacerare il velo - Tenevo la lama con mani tremanti - Pronto a farlo, ma proprio in quel momento - è squillato il telefono - Non ho mai avuto la forza di dare il taglio finale). L'aggressività di "Not Now John" (interpretata anche da Gilmour), adatta alla perfezione per trasmettere l'ironia mordace e pungente di chi indifferente all'importanza dei quesiti morali di cui l'album si fa portabandiera, prosegue per la propria strada sulla quale l'obiettivo primario resta la competitività economica o morale comunque. Alla delicatezza di "Two Suns In The Sunset" (alla batteria - anche anche per volontà di Mason - c'è Andy Newmark) il piacere di chiudere l'album inducendo in un naturale coinvolgimento emotivo (ancora una volta è il sax a regalare emozioni), a mettere in luce quel secondo sole  - rappresentato dall'olocausto nucleare -, che un inaspettato gesto di follia umana  può provocare lasciando a noi tutti la tardiva comprensione attraverso la verità lapalissiana degli ultimi versi (Finally I understand - The feelings of the few - Ashes and diamonds - Foe and friend - We were alle qual in the end = Finalmente capisco - Le sensazioni di pochi - Ceneri e diamanti - Nemico e amico - Alla fine siamo tutti uguali).

L'album pubblicato il 23 marzo 1983 (che in Italia nella prima settimana dalla pubblicazione andò ad occupare la posizione regina degli allora dischi caldi - l'undicesimo posto per intenderci -, balzò al primo posto tra i 33 giri più venduti la settimana successiva) ebbe nonostante tutto un tiepido riscontro di mercato, per un lavoro in cui è emerso da parte di Waters l'aspetto compositivo caratterizzato da cupezza ed ossessione sempre fuso con maestria ad armonie soavi quanto ricercatamente delicate. La considerazione di lavoro incompiuto viene a fondarsi più che altro per l'estremo adattamento personale dei temi proposti da Waters (non dimentichiamo che il disco sottotitolato a requiem for the post war dream è dedicato al padre Eric Fletcher Waters morto nella battaglia di Anzio il 18 febbraio 1944 durante la seconda guerra mondiale), non riuscendo a far scaturire dagli altri membri del gruppo quella volontà partecipativa come avvenuto per "The Wall", facendo così dei Pink Floyd il mezzo di esecuzione di un proprio progetto.

Il disco peraltro il primo ad essere registrato in olofonia (tecnica che permette di riprodurre un suono come percepito dall'orecchio umano), sarebbe stato seguito da un tour di supporto che avrebbe dovuto prendere piede il 5 novembre '83 all'Earl's Court di Londra, con esibizioni anche a Birmingham, Glasgow ed Edinburgo, con in formazione oltre a Gilmour e Mason, tra gli altri anche  i tastieristi Bob Ezrin ed Andy Brown, il sassofonista Mel Collins, il batterista Andy Newmark e le coriste Dorys Troy, Lesile Duncan, Liza Strike, Barry St. John e la grande Clare Torry. La prevista tournée che avrebbe dovuto consistere di due parti, di cui la prima che prevedeva l'integrale esecuzione di "The Final Cut" e la seconda dedicata ai classici del gruppo, non prese mai piede per i vivaci scontri tra Gilmour e Waters e le ambizioni soliste di quest'ultimo che faranno del dodicesimo album in studio, il taglio definitivo dopo quasi venti anni dedicati alla geniale e fluida creazione di quei suoni consacrati alla storia come la riuscita eco di vibrazioni cosmiche. 

[La versione rimasterizzata pubblicata nel 2004 contiene "When The Tigers Broke Free" (tra "One Of The few" e "The Hero's Return" ) leftover dall'immenso "The Wall", ed usata per aprire l'omonimo lungometraggio prodotto da Alan Parker).

 

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