La parola d'ordine è "MOSTRUOSO": un mostro di bellezza, un mostro di bravura, un mostro di potenza, un mostro d'intelligenza, ma anche un mostro di bruttezza, cattiveria, crudeltà... L'eccezionalità della manifestazione degli eccessi naturali annulla il confine di demarcazione del vivere nella dualità dove il giudizio viene inevitabilmente a mancare nella deflagrazione di un'oscena verità che mette d'accordo tutti.
Il comune denominatore è la chiave per accedere all'impersonale, all'eliminare ogni considerazione, all'accettazione del mostruoso che ognuno di noi ha dentro, esorcizzato dall'amore dato alla parte di noi più evidente che di solito ci fa cadere nella vanità dell'identificazione della stessa, nel bene e nel male, e trasformarla in oggettiva senza lasciare adito ad alcuna deviazione dove nella sua nettezza educa alla cinicità dell'eternità.
Insomma è l'arte, essere capolavoro. Distrarre la possessione del "toccare con mano" e indirizzarsi verso un "occhio non vede cuore non duole" mistico, per stanare il San Tommaso che è in noi. L'identificare la radice che insieme ai vizî dell'albero genealogico contribuisce a esponenziare colpe che non ci appartengono. Sofisticare l'inganno della possessione imbellettando la parte "peggiore" di noi, cercando di relegarla al suo ruolo originario di veicolo, e usarla come riflesso effimero di se stessa, ingannarla nel farla sentire ancora protagonista.
E questo passepartout i 17 Pygmies lo forniscono con tutti gli optionals che fanno brillare la sarabanda in un abbandono dove solo la compassione rimane. Perciò lo spettacolo circense freak è servito dove l'uomo di gomma, quello forzuto, la donna barbuta, il contorsionista, il petomane, il fachiro, non sono più fenomeni da baraccone, ma impersonano quella sacralità interiore e sono la chiave per risplendere quel "macula non est in te" interdetto dall'inganno dello schiavismo psichico orchestrato dall'esterno.
L'inquietudine di un circo interiore nasconde sotto il tendone l'angoscia della paura di perdersi dove carillon e organetti riesumano déjà vu agitati che andiamo a esorcizzare con flauti magici e violini suonati con la mano destra. La voce di Louise Bialik ci porge la speranza carezzevole di un sentiero di rose vellutate, Robert Loveless e Philip Drucker tessono un tappeto musicale sognante che culla il passaggio alla serenità impersonale.
Tutto è pregno di fiabesco futuro e gli arpeggi ci accompagnano, insieme all'aroma del kalumet, in una pace conquistata che si accende in ballate prive di nevrosi. Il vorticare centrifuga un incontro con la natura nello schiudersi dei fiori intimi. Fate e creature magiche del bosco rendono omaggio alla nuova vista che non ha più paura dell'ignoto. La verità del "mostruoso" ci rende liberi. BENVENUTI...
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