Il nono lavoro nella carriera dei 38 Special è nuovamente apprezzabile e piacevole, con diversi numeri ben riusciti ed altri invece di contorno. Siamo nel 1991, allo scoccare del cataclisma grunge che farà perdere i contratti di grossa distribuzione con le multinazionali discografiche a tutte le realtà musicali più o meno simili ai nostri, escludendo solo i superbig vale a dire Aerosmith, Bon Jovi, Guns&Roses e pochi altri.

Assomigliante al precedente ma più ispirato, l’album alterna hard rock di retrogusto sudista a numeri ancora hard ma più generici e di stampo melodico, ben congegnati e responsabili degli ultimi fuochi in classifica di questa formazione… subito prima che Kurt Cobain e affini finiscano per convincere gli addetti ai lavori che il rock più figo per gli anni novanta è quello (oscillante tra punk, psichedelia e metal, capirai la novità) eseguito da disperati in camicia di flanella, tutti ammassati in una ed una sola metropoli dell’ovest USA.

La trascinante ed accessibile “The Sound of Your Voice” stabilisce in apertura i parametri di tutto il lavoro; la voce brillante di Max Carl è al suo posto, e pure l’assolo impeccabile di Jeff Carlisi, qui all’ultima presenza in formazione purtroppo. Ciò che segue appresso, ovvero “Signs of Love”, è la prima delle loro power ballads, una forma musicale destinata a rivestire il ruolo del canto del cigno per un certo rock anni ottanta. Ma il pop rock robusto proposto sin qui viene energicamente accantonato grazie al primo numero cantato da Donnie Van Zant, a titolo “Last Thing I Ever Do”: un southern rock duro e puro… sembra di aver cambiato disco! Voce strascicata, sintetizzatori spariti, duelli e duetti di chitarre in ogni dove.

You Definitely Got Me” mostra il lato più rock blues di Max Carl, che non sta a comporre solo musica furba. Questo brano non lo è, anzi è un pò scontato e rigido, ma si salva per le belle risonanze delle chitarre in certi passaggi. Van Zant cerca di rendere pan per focaccia al collega inforcando la chitarra acustica per iniziare la lirica “Rebel to Rebel”, la cosa più vicina ai cugini Lynyrd Skynyrd che abbiano mai concepito.

Il mezzo AOR degli inizi dell’album sembra dimenticato ma arriva invece il pezzo che offre il titolo all’intero disco e che ci rimembra l’evoluzione in corso nei 38 Special. E’ uno svelto e melodiosissimo episodio, dal profumo di Journey; bello e fresco il suono della batteria… i brutti samples elettronici dei due precedenti album sono spariti e il fonico ha ricominciato a lavorare di microfoni e compressori intorno a pelli e piatti: meno male!

You’ll Be the Dam, I’ll Be the Water” si distingue per la denominazione più insolita del lotto: è l’unica canzone che conosco con la parola “diga” nel titolo, e pure ripetuta continuamente nei ritornelli. Per il resto, è un mid tempo piacevole, ma ben lontano da ciò da cui avevano preso le mosse i 38 Special quindici anni prima. Nuovamente, le succede un numero Skynyrdoso alquanto a ristabilire il tasso alcolico, secondo l’andamento bipolare di quest’opera: “Jimmy Gillum”, chissà chi sarà mai questo tizio che viene celebrato con un rock blues gagliardo e pastoso, sudista alla massima potenza. L’atmosfera rimane tosta e maschia anche nella successiva “Tear It Up”, seppure al microfono ritorni l’abitualmente melodioso Carl. Qui invece il tastierista urla e strepita e le chitarre fanno il bello e il cattivo tempo, aiutate dagli stacchi di una sezione fiati (finta).

Don’t Wanna Get It Dirty” viene inaugurata dal clavinet, ma svelte arrivano le chitarre per un altro southern rock di quelli a cura del Van Zant, ossia ortodossi e decisi ma… anonimi. Non molta personalità la dispiega pure la successiva “Burning Bridges”, che offre solo un pregevole accompagnamento di chitarra ritmica.

La band si scatena per un’ultima volta nella serrata “Can’t Shake It”, cantata a due voci dall’inizio alla fine e con una mordace slide guitar che provvede a diversificare l’abituale stratificazione di chitarre, qui al loro meglio. La tredicesima ed ultima canzone è una cosetta essenzialmente piano-Roland-più-voce di Max Carl, il quale dimostra di avere ascoltato e assimilato a fondo “Escape” e “Frontiers” dei Journey: voce tenorile e saccarina a iosa per casalinghe disperate e nerd romantici.

I 38 Special viaggiano così in quegli anni, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte nelle loro produzioni. Ce n’è insomma per chiunque, a cadenza se si vuole schizofrenica: una volta tondi e l’altra quadrati, ad accontentare tutti e nessuno. Ma questo è un lavoro di gente che ci sa fare e quattro stelle ancora se le fa assegnare, purtroppo per l’ultima volta.

Carico i commenti...  con calma