Ricordo. L’unica parte di pavimento che si vedeva nitida era quella su cui si stampavano le ombre delle grate della finestra del seminterrato. Cornici di rettangoli luminosi di un verdognolo astratto. Chiaro di luna urbano. Stavo seduto su una piattaforma di buio pesto. Morbida. Effettivamente avevo il sedere su un materasso poggiato sul pavimento. La schiena, invece, era adagiata sul bordo ligneo di un letto singolo. Ma mi sembrava soffice lo stesso. Se mi voltavo indietro vedevo tutto nero 100. Un’oscurità in quadricromia interrotta dal perfetto e cadenzato movimento di un punto arancio scuro che descriveva una semiellissi. E sentivo, udivo proprio bene. Il suono della combustione. Puntavo timpani e staffe come microfoni direzionali verso quella luminescenza che, quando arrivava all’estremo più lontano della semiellissi, brillava con maggior ardore liberando un lieve fragore. Dopo un po’ il punto mi si avvicinava e io avvertivo fremiti piacevolissimi epiteliali come stimoli invertiti. Prima partivano, poi arrivavano al cervello. E mi vedevo, in 35mm. Fonte di proiezione il cervelletto. Ne ero convinto. Fascio di luce puntato su tutto il resto della materia grigia. Osservavo quel punto rosso approssimarsi e ingigantirsi fino a diventare più grande di me. La visione è io, in un posacenere ad occhi chiusi e trepidante, travolto da quell’enorme cerchio di cenere infiammata. Una sensazione di piacere monovarietale che mi mandava in solluchero. Impossibile parlarne. Poi si ferma un’automobile fuori. Foriera di buone atmosfere. Parlo al determinista della semiellissi. “Voglio continuare ad ascoltare questa musica, ce l’hai?”. “Sì”. Passi, rumori Kenwood, regolazione del volume interno portata a zero sulla barra delle percezioni esterne e via.
Sono i 4hero di cui sapevo tanto quanto ancora ne so di matematica discreta. Se lo stereo fosse stato Pioneer si sarebbe verificata una perfetta simbiosi tra il nome della macchina e i contenuti del supporto. Quando si fa fatica a superare l’avanguardia va reso onore al merito. Meriti, sì: miscelare misteri che ti suonano in testa per la prima volta, come vibrafoni elettrostimolatori di inquietudini variegate, con antiquariato e modernariato musicale che si ha in casa, liberato da qualsivoglia ridondanza; mettere allo specchio gli uomini di quell’antiquariato e di quel modernariato e veder riflessa l’immagine di uomini indaffarati in un laboratorio di sintesi musicale.
La musica dei 4hero trasforma il tempo in un diapason non funzionante. Il broken beat di base assume una filosofia ancora meno lineare se lo si vuole chiamare untempo. C’è un lavoro di ricerca, fatto di persona, con l’esplorazione di sonorità attuali in giro per club musicali (2001). Si scava fin negli interstizi delle coste del velluto di un certo tipo di new jazz / new funk / new soul / urban moods & hypnocontrollate visioni procedurali. Senza filosofie c’è una pioneristica old avanguardia della drum n’ bass che fa incetta di stimoli sonori interculturali in una vasta area etnografica del Regno Unito. Che riesce a proteggere le diverse fasi musicali identitarie senza sottoporle ad una smodata chimica sintetica. Che sarebbe stata fuori luogo. La vastità progressiva e incrementale dei suoni si sublima con le collaborazioni di personaggi che stanno sulle torri di controllo di questo ardito Vallo di Adriano musicale, al di là del quale c’è l’inesplorato. Ursula Rucker attiva il meccanismo dello spoken words incrementando il tasso di polimorfismo di questa jungle sonora che non soffre mai di stipsi creativa. Le indipendenze nucleari dei componenti del gruppo vengono intrecciate dalle columbiche relazioni ioni – anioni che garantiscono un’attrazione fatale per una fusion dove il distacco è la regola di comportamento numero uno.
Si dice che questo non sia il miglior album dei 4hero. Sono d’accordo a tre quarti. L’altro quarto è di significativa importanza. Le concessioni alle nuove forme di musica che fanno leva sul subliminale allargano il campo semantico di questa opera alla possibile creazione di mitologie personali. I suoni dei 4hero sono vicini ai suoni dei sogni dell’uomo. Invitano ad un visionare introspettivo. Invitano a concepire nuovi livelli di realtà. Riguardano il 99% di cose che ognuno di noi non fa nella vita.
È da quella sera che ho stabilito una platonica corrispondenza con questo album. Che è finita per forza di cose. Per mantenere le corrispondenze, si sa, ci vogliono i francobolli.
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