Se il vostro rapporto con la musica è superficiale od occasionale, se avete cose piú importanti da fare che concentrarvi nell'ascolto di un disco, se non riuscite a mantenere l'attenzione su un brano per piú di quattro minuti standard, bè allora lasciate perdere questa recensione e smettete di leggere adesso, non perdete tempo prezioso, perché questo disco richiede tempo, impegno, attenzione.

Se, invece, pensate di avere la pazienza e la voglia di dedicare qualche ora del vostro tempo all'ascolto e al riascolto di sessanta dannatissimi minuti di musica bella, impegnativa, coinvolgente, allora continuate a leggere e memorizzate questo nome "The Silver Mt. Zion Memorial Orchestra & Tra-la-la Band With Choir".
Memorizzatelo, ma non innamoratevene, perché è sicuro che cambierà in futuro. Infatti, questo ensemble, alter ego dei Godspeed You Black Emperor (grazie joser), ha già adottato tre nomi differenti in altrettanti album.

Aperti al cambiamento, tesi sempre verso la costruzione di castelli sonori complessi ma affascinanti, questi splendidi pazzi canadesi mutano pelle di continuo, ma non lo spirito. Come nelle vesti dei "Godspeed You Black Emperor" propongono brani lunghissimi (quattro per sessanta minuti complessivi) e continuamente mutevoli.
Tuttavia, mentre la musica dei "Godspeed You Black Emperor" è apocalittica e dirompente, quella dei "The Silver Mt. Zion Memorial Orchestra & Tra-la-la band with choir" è circolare, continua e celebra, probabilmente, l'aspetto piú intimo e inquieto dei suoi interpreti.
Non aspettatevi, quindi, le esplosioni sonore di Yanqui U.X.O., ma una musica piú riflessiva.

Altra differenza rispetto ai Godspeed You Black Emperor è la presenza e l'importanza della voce. Tutti i brani presentano, infatti, accanto ad interminabili, ma bellissimi momenti strumentali ampi spazi cantati.
Ad esempio, il primo brano è inizialmente caratterizzato da un coro, che intona una sorta di litania ipnotica. Questa, però, muta lentamente e senza quasi accorgersene si è trasportati dove le voci son lontane e i violini ben presenti.

Impossibile descrivere le quattro suite che compongono il disco senza correre il rischio di perdersi fra atmosfere sinfoniche, cori, silenzi, rumori di treni, echi, chitarre, violini e la voce dolorosa di Efrim Menuck.
Allora l'unica cosa da fare è chiudere gli occhi, aprire la mente ed ascoltare.

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