Al giorno d'oggi, vediamo nascere praticamente ogni giorno, band emergenti che suonano generi che negli anni 80', non avremmo mai pensato sarebbero riusciti a prendere piede. Metalcore, Death, Black, Nu, Deathcore, Grindocre, Alternative, ecc... Poche sono quelle band rimaste a suonare heavy metal, quell'heavy proveniente direttamente da quell'era magica che fu la prima metà degli anni 80', con gruppi che si contendevano il podio di miglior band. Iron Maiden, W.A.S.P., Motorhead, Running Wild, Grave Digger, Black Sabbath, Judas Priest... Ma anche nella terra della birra e dei crauti c'era qualcosa. La band formata da un piccolo nano tedesco, Udo Dirkschneider, gli Accept, che scalarono rapidamente le classifiche e ottennero altrettanto velocemente una fama come pochi, in seguito a quei dischi meravigliosi e che a mio parere, dovrebbe essere patrimonio dell'umanità, che vanno da "I'm A Rebel" fino a "Russian Roulette". Nella metà degli anni 90', dopo il ritorno di Udo negli Accept (per una serie di divergenze), e dopo tre album che non avevano gridato ad un ritorno ai vecchi tempi, ma comunque godibili, il nostro colonnello se ne va definitvamente. Gli Accept perciò, privi del loro carismatico leader e collante del gruppo, decidono di sciogliersi. Nessuno però avrebbe mai detto che, dopo 14 anni, gli Accept si sarebbero riuniti, con un nuovo cantante in formazione, Mark Tornillo proveniente dai TT Quick. Dubbi, ansia, cuiriosità, critiche già pronte. Queste erano le aspettative per il nuovo album di inediti degli Accept, che suscitava più curiosità di "The Final Frontier" degli Iron Maiden, uscito quattro giorni prima. "Blood of the Nations", questo il nome dell'album, titolo decisamente acattativante. La copertina, non ne parliamo, veramente stupenda, semplice ma d'impatto. Un segno di vittoria, segno che gli Accept sono tornati. Dopo questa introduzione, possiamo anche cominciare.
Il disco si apre con "Beat the Bastards", canzone schiacciasassi, dettata da un riff granitico, e penso che da un chitarrista con le palle come Wolf Holfmann, non potevamo aspettarci da più. Meraviglioso assolo, e grande ritornello, dove si può constatare la potenza della voce di Tornillo, dettata da scream molto ben riusciti e una certa somiglianza con il cantante degli AC/DC, Brian Jonhson. Con "Teutonic Terror", anticipata da un videoclip, si ha una delle migliori hit del disco. Basso prepotente, andamento lento e veloce, ma ben riuscito, veramente ottima. Con "The Abyss", si toglie il piede dall'acceleratore, anche se un buon drumming e un ottimo basso mantengono la canzone su livelli medio alti. La Titletrack, ha un intro da far venire i brividi, e da headbanging sicuro, con un ritornello veramente azzeccato e uno dei migliori assoli partoriti dalla mente di Hoffman. "Shades of Death", rappresenta forse il tallone di Achille dell'album. Non parto dicendo che è un orrore di canzone, anzi, è molto orecchiabile e mantenuta da un ottima sezione ritmica, ma ha un minutaggio troppo lungo. Se si fosse tolto un minuto all'introduzione,e un minuto verso la fine, si avrebbe avuto forse una delle migliori canzoni del disco. Con "Lock and Loaded", si ritorna a ragionare, una batteria fantastica ci introduce al pezzo forse più veloce dell'album, con un Tornillo in ottima forma, e una canzone in cui è IMPOSSIBILE rimanere seduti. "Kill The Pain", è un bel lento costruito in maniera ottima, con un Mark che ci dà prova di essere un grande cantante anche in pezzi più "dolci". "Rollin' Thunder" è riassumibile in una parola: Devasto! Trascinante, esplosiva, impossibile descriverla. "You can hear it, you can feel it, it's everywhere.... IT'S IN THE AIIIIIIR!". Con "Pandemic" e "New World 'Comin", siamo di fronte a due pezzi buoni, sostenuti da una ritmica con la quale sarà impossibile non farvi battera i piedi a ritmo. "No Shelter" ha dalla sua cori decisamente ben riusciti, una batteria ottima, e il secondo assolo migliore dell'album. "Bucket Full of Hate" comincia con una nenia che poi imploderà in una canzone diretta e a pugni in faccia, una delle migliori riuscite dell'album. Decisamente un ottimo modo per concludere l'album, e lasciare l'ascoltatore con un sorriso stampato in faccia e i brividi in tutto il corpo.
Gli Accept, a differenza di molti altri gruppi rientrati nel loro stesso genere, non hanno mai cambiato stile, sono sempre stati diretti e coerenti. La coerenza, è forse quello che li ha premiati nella loro illustre carriera. Ovvio che, non è stato semplice ricominciare dopo 14 anni senza la figura di Udo, ma Hoffmann e soci ci sono riusciti.
Che dire, grandi Accept, ottimo ritorno sulle scene. Uno dei pochi gruppi che sono rimasti a suonare heavy metal diretto in faccia, di fronte ad un lavoro come questo non si può che togliere il cappello e ringraziare che al giorno d'oggi, esistano ancora vecchie glorie come loro.
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Altre recensioni
Di chinaski033
Musicalmente sono ancora cattivi come una volta, e forse anche di più.
È semplicemente un album di fottuto heavy metal senza troppe cazzate!