L'album Irony, richiede un notevole sforzo da parte dell'ascoltatore, in quanto si differenzia completamente dagli altri lavori di ACO. Non è comunque un ostacolo che potrebbe fermare in quanto ACO ci ha ormai abituato alle sue doti di compositrice. Irony rappresenta una naturale ma drastica svolta stilistica, ACO si tuffa in un oceano di strani suoni, ritmi primitivi e voci sinistre. Combina gli archi con effetti non umani e spinge la sua voce ad altezze estreme. La sua sensibilità melodica è sempre presente, come dimostra la ninna nanna "Hans", la fragile "Subako" e la dolce "Kitchen". Sensibilità che però viene oscurata, resa irriconoscibile da un tappeto di suoni galleggianti.

In "Lang" i violini accompagnano il canto senza parole di ACO per un effetto gelido ma bello. Sintetizzatori senza ritmo sembra che stiano tentando di trasmettere segnali allo spazio in "Irony", la title-track. In alcune parti dell'album le voci sembrano assumere un ruolo secondario In "Akai Shishu" ACO non inizia a cantare fino alla metà della canzone. Nell'opening "00000" le voci sono al contrario. Per i vecchi fan di ACO il mondo astrale di questo album sarà come un pianeta alieno. I pochi ritmi dell'album sono distribuiti in piccole dosi, e ogni riferimento alla sensuale vena Jazz della vecchia ACO è scomparso. Una volta che l'album è partito però, Irony diventa un lavoro affascinante. Proprio come"Vespertine" di Björk e "Kid A" dei Radiohead, Irony vive nella sua logica interna e nella sua atmosfera. Ad ogni ascolto si scopre qualcosa di nuovo. ACO forse ci ha dato l'album più stranamente bello del 2003. Potrebbe volerci uno sforzo per apprezzarlo ma ne vale sicuramente la pena.

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