Terzo dei quattro EP previsti per gli svedesi A.C.T. La formazione scandinava continua a pubblicare musica in comode rate biennali da meno di trenta minuti (qua però i trenta minuti si toccano), non si sa se dopo aver completato questo puzzle (sì, anche le copertine si uniranno e andranno a formare un unico quadro) andranno ancora avanti in questa modalità ma per ora si trovano bene così.

La musica degli A.C.T è più o meno sempre quella da oltre vent’anni, il marchio di fabbrica rimane e alle nostre orecchie arriva sempre quel solito prog brillante e dai suoni limpidi. Qualche soluzione un po’ più nuova però la troviamo eccome e questi nuovi brani appaiono decisamente ispirati seppur ancorati alla tradizione A.C.T. Mi sono saltate subito all’orecchio alcune interessanti soluzioni in stile anni ’80, energici colpi di sintetizzatori e riff saltellanti che rimandano ad un certo synth-pop di quegli anni, più anche alcuni colpi di percussioni elettroniche inseriti quasi apposta per confermare queste impressioni, tutto però perfettamente riveduto e riadattato al sound degli A.C.T; queste sonorità si fanno sentire piuttosto bene nei brani “The Girl Without a Past” e “One Last Goodbye”, ma anche i suoni di “Digging a Hole” non sono da meno. In generale un po’ in tutti i brani hanno lavorato piuttosto bene sulle parti tastieristiche, sono sempre state piuttosto vigorose nella loro discografia ma qui risultano ulteriormente rinforzate, vestendosi di parti elettroniche robuste e ben studiate che aggiungono quel qualcosa in più.

Il lato più melodico viene meglio valorizzato nei brani “Breathe” e “The Earth Will Be Gone”, dove emergono più che mai gli arrangiamenti orchestrali. Ma in generale il comparto melodico pare rinforzato, quel tocco di malinconia che permeava il precedente EP è stato levigato ma è più o meno ben presente. A far da contraltare ma non così tanto ci pensa “A Race Against Time”, il brano probabilmente più duro del loro repertorio, vi si sfiora il progressive metal senza però toccarlo per davvero; gli A.C.T hanno sempre inserito chitarre un tantino dure nei loro brani, anche esse hanno contribuito a creare un suono molto vivo ma non erano mai arrivati a questo livello.

La sensazione generale è quindi quella di una band che è rimasta fedelissima al proprio marchio di fabbrica ma che ha alzato l’asticella arrivando ad un livello maggiore senza spingersi però troppo oltre. Va anche riconosciuto loro il merito di essere riusciti ad esprimersi e a concentrare le idee in un minutaggio contenuto; chissà cosa potrebbe succedere se decidessero di espanderlo in un progetto più ampio… Spero infatti che conclusa questa quadrilogia tornino all’album vero e proprio per poter approfondire a dovere quello che stanno aggiungendo sul piatto.

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