Secondo EP di quattro previsti. Sì, proprio così, gli A.C.T hanno scoperto, per loro stessa ammissione, quanto sia più semplice e meno impegnativo realizzare un EP; molto più agevole lavorare su pochi brani, li porti in studio quando vuoi e solo quando ne hai in bagaglio, meno tempo in sala prove, meno tempo per registrarli e mixarli, anche il budget richiesto è minore (sono una piccola e poco conosciuta band, non dimentichiamolo). Non impazzisco per questo tipo di pubblicazione, preferirei sempre l’arrivo del vero e proprio album quando si hanno raccolto le idee a sufficienza per farlo; beh forse un po’ tutti i veri appassionati di musica hanno una mentalità album-oriented, quando parlano di musica discutono di “album”, considerano l’album come il fine, come un’opera solida con un filo conduttore, come un’entità dotata di valore artistico dove ogni brano è lì per un preciso motivo e con una precisa funzione, mentre il comune ascoltatore radiofonico parla di “canzoni” e probabilmente non trova nulla di davvero artistico in ciò che ascolta ma solo una semplice valvola di sfogo; l’EP pertanto non è ciò che abitualmente cerco in un gruppo ma ho imparato ad accontentarmi. Una scelta che però fa mangiare le mani, perché il contenuto di questo “Heatwave”, ancor più del precedente EP, dimostra che la band svedese ha ancora gli attributi per tirare fuori il lavoro vero e proprio che ormai manca dal lontano 2014.

A dire il vero la proposta non cambia di una virgola, non è mai cambiata davvero in oltre vent’anni di attività, ma la band la esprime ancora una volta con la solita energia. Gli A.C.T sono rappresentanti di un prog-rock insolitamente vivace e brillante che nasconde però anche un retrogusto malinconico. I suoni sono sempre limpidi e cristallini e la produzione li mette in risalto in maniera assolutamente pulita, oggi come fosse la prima volta.

Dopo l’inutile ronzio dell’evitabile intro parte “Checked Out” ed ecco che si sente subito che siamo in territori A.C.T tutta la vita, la melodia brilla e si impone con tutta la sua energia; un brano sostanzialmente formato da due anime contrapposte, la prima parte propone un funk insolito e diretto, che colpisce nel segno con le sue chitarre frizzanti ed il suo basso incisivo ed accattivante, la seconda parte invece espone l’anima più prog, variando con più disinvoltura la ritmica e proponendo risposte fra chitarre e tastiere nella piena tipicità del genere. Energiche e sfavillanti alla loro maniera suonano anche “Brother” e la title-track, dove si affacciano con vigore le ondeggianti ritmiche dal retrogusto swing che la band sfoggia fin dai suoi esordi. Ma come detto la band sa proporre melodie brillanti anche quando viaggia su toni più malinconici, “Dark Clouds” e la più estesa “The Breakup” sono lì apposta per dimostrarlo; ritmo lento e dimesso, tastiere cristalline e archi non particolarmente sfarzosi per la prima, la seconda ha invece un ritmo più sostenuto con cavalcate hard-pop riconducibili ad un certo pop-punk - altra caratteristica abbastanza riscontrabile in diverse produzioni del gruppo - un piano dai registri bassi e degli archi stavolta più frizzanti; sono due brani tipicamente da giornata grigia e nuvolosa ma non sfociano in alcun modo nel rock gotico e depressivo, nulla che abbia a vedere con roba tipo Cure e Anathema, anzi conservano la melodia piuttosto brillante come a voler lasciar intravedere il barlume di positività.

27 minuti davvero intensi e con un buon livello d’ispirazione. Il precedente EP appariva un tantino stanco e prescindibile, qui invece la band si esprime al meglio pur senza grossi stravolgimenti stilistici. La band ora guarda subito avanti ed è già in studio per il terzo EP della serie… sperando che cambino idea e tornino a fare album.

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