Partita con una certa, moderata dose di stile, con uno sforzo narrativo apprezzabile quanto inutile (Edwards), cresciuta con un retrogusto avventuroso alla Conan Doyle (tal Vogt-​Roberts), passata per la sbrodolata e sciatta retorica pseudo-ambientalista e conseguente noia fotonica (tal Dougherty), la parabola dei mostri giapponesi riletti in chiave hollywoodiana arriva a compimento accompagnata dal tal Wingard.

A dispetto del titolo, il protagonista del film è King Kong, che per un motivo a caso viene portato a giro per il mondo mentre Godzilla spadroneggia: inevitabile, secondo gli sceneggiatori, che i due si prendano a ceffoni. Basta questo per mettere insieme tre immense scene madri, due che vedono gli iconici mostri darsi botte fino a crollare, una terza che, a conferma dell’ottimistico cerchiobottismo USA, li vede pesti e feriti impegnarsi fino allo stremo contro un micidiale nemico comune.

La scelta della Legendary sembra sia stata piuttosto saggia: via la zavorra, i sentimenti, le storie del cazzo dei vari personaggi, via la verbosità, le motivazioni. Gli esseri umani, “cattivi” compresi, difficilmente superano lo status di macchietta. Tutto è ridotto a una cornice narrativa che serve solo da pretesto, esattamente come nella più classica e affidabile estetica dei B-movie. Il nuovo approccio, o meglio, il pesantissimo lavoro di post-produzione che è seguito al flop del film precedente, paga. E regala due ore di visione gradevole e divertente, perché quasi tutto funziona, è solido, non annoia; per forza, una struttura così lineare e semplice difficilmente può crollare, e il diligente lavoro del team produttivo e degli attori contribuisce a portare a casa il compitino (si fa per dire: 200 milioni di $ di budget e quasi la metà di profitto netto...). Tanti soldi, poche, collaudate e robuste idee, una piattezza registica che nemmeno si nota, (il grosso del lavoro lo fanno gli storyboard, gli artisti concettuali e la CGI), tre o quattro scene con i pochi personaggi umani che servono per concatenare i furiosi duelli tra mostri. Serve altro? A quanto pare no e tutto sommato meglio un approccio del genere che improbabili quanto ridicole pretese di comunicare qualcosa.

Del resto, si parla di Legendary, non di Toho. In Giappone Godzilla è uno di casa, un simbolo che in oltre sessant’anni di onorata carriera ha incarnato suggestioni, minacce atomiche e non, ha divertito adulti e bambini. E i Giapponesi, quando hanno scelto di rilanciarlo, lo hanno dato in mano a uno degli artisti più visionari e capaci che avevano a disposizione. Spendendo moooolto meno, e con un approccio concettuale che in Occidente possiamo solo sognarci, Hanno ridato un’inquietate vita alla loro preziosa e maledetta nemesi atomica. Non si può mica pretendere lo stesso dagli americani, loro semplicemente ormai non ce la fanno. Se King Kong è il diligente scimmione capace di parlare con gli esseri umani, il Godzilla US diventa e rimane una calssica, per quanto terribile, minaccia da estirpare a qualunque costo. Sparito il tema delle radiazioni, abbandonate le ambiguità, messo da parte il ruolo di eroe per ragazzini, il sauro atomico semplicemente distrugge ciò che lo minaccia e fa di tutto per far male a King Kong, che ovviamente non sta lì a farsi caffuddare impunemente, e le tenta tutte per metterlo sotto. Questo è l’ovvio e unico leitmotiv del film, e a questo proposito dinamicità degli scontri è innegabile; ben coordinate le coreografie degli scontri, ottima la resa della luce, anche se c’è poco di epico e molto di arrogante, e lo scontro notturno tra i grattacieli di Hong Kong, nonostante gli echi di Pacific Rim e un paio di citazioni di Shin Godzilla, dà a volte l’impressione di una rissa in discoteca tra due tipacci nerboruti. Il combattimento finale, pompato e brutale al punto giusto, segna una discreta vetta di ignoranza cinematografica. Tra un pestaggio e l’altro, sempre apprezzabile il gran lavoro visuale del team FX, che si scatena in paesaggi invertiti dalla gravità carpicciosa, fa apparire mostri ad ogni angolo, si sforza di dimostrare la vicinanza agli umani e l’empatia della scimmia gigante.

Godzilla mi ha affascinato sin da piccino, perché è una curiosa parabola pop che a suo modo narra l’energia atomica, la sua terribilità, la speranza e la distruzione che genera, e perché trovo quantomeno bizzarro che un pupazzone dinosauresco abbia fatto così presa nell’immaginario di una società complessa come quella nipponica. E quindi un pochino mi spiace vederlo così. Non tanto temuto, bombardato, preso a pugni, calci, colpi d’ascia atomica e di laser, quanto piuttosto ridotto a banalotto personaggio da videogioco, sfrondato della sua ambiguità, della sua cupezza. Ma tutto sommato, signor Hollywood, da lei mi aspetto cazzoneria, divertimento, effettoni, catartiche distruzioni di città, armi colossali, pseudoscienza, personaggi dalla stupidità imbarazzante e poco altro. Mi aspetto, tutto sommato, Godzilla Vs Kong. Quindi, da parte mia, un “grazie” se lo è meritato.

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