Il 1982 è l'anno che vede il ritorno sulle scene degli Aerosmith dopo 3 anni di silenzio, dalla pubblicazione di "Night in The Ruts" del '79. Steven Tyler, Joey Kramer e Tom Hamilton, gli unici sopravvissuti della line-up originale, reclutano alle chitarre Jim Crespo, già con la band nell'ultimo tour, e Rick Dufay, quest'ultimo in qualità di chitarrista ritmico. Il prodotto di questa collaborazione sarà "Rock In A Hard Place", settimo album di studio per il gruppo americano.
Come si può ben evincere, il periodo per gli Aero non è dei migliori: la perdita di 2 elementi fondamentali come Perry e Whitford porta un vuoto nella formazione che i nuovi arrivati, seppur bravi, a stento riescono a colmare (anche in sede live, a mio avviso); inoltre, si aggiungono a ciò le pessime condizioni del vocalist, precipitato a fondo nel vortice della droga, tanto che, come documentato, collasserà on stage varie volte. L'album che esce fuori da questa tumultuosa situazione è proprio condizionato dalla progressiva autodistruzione della band e dai limiti imposti dallo scarso affiatamento tra nuovi e vecchi membri.
Nonostante questo quadro poco confortante, l'album in verità parte benissimo: l'opener Jailbait ha un ritmo frenetico e coinvolgente, vede un Tyler in grandissima forma con ottimi acuti e si fregia di un riff veramente ottimo. Sicuramente il miglior pezzo dell'album, tanto che lo stesso Perry dichiarerà in seguito, nel corso di un'intervista, di essere un po' geloso della canzone. La traccia successiva è Lightning Strikes, una buona cover di Richie Supa, che tiene l'album su un livello più che discreto senza tuttavia impressionare più di tanto. Probabilmente il pezzo apparteneva ad una session precedente, in quanto alla chitarra ritmica figura ancora Whitford. Un inizio lento e melodico introduce la seguente Bitch's Brew, che sfodera un riff abbastanza duro accompagnato, per antitesi, da un cantato parecchio melodico, specialmente nel refrain. E' proprio in questo genere di composizioni che l'assenza di Perry si fa sentire maggiormente, non a caso il pezzo nel suo complesso risulta piuttosto banale. Lo stesso discorso può esser fatto per la successiva Bolivian Ragamuffin: ottime linee vocali, buon riff ma nulla di più, insomma, un hard rock tirato che non si caratterizza di quel tocco particolare che in passato aveva contraddistinto la musica degli Aerosmith.
Forse può esser una piccola sorpresa lo spunto offerto da Cry Me A River, ballata elettrica in cui finalmente la band recupera un uno standard di livello: Tyler impressiona e gli alti lo seguono bene; Sicuramente, rispetto alle precedenti due, un buon pezzo. E' quindi la volta del Prelude To Joanie, in cui una voce elettronica recita una poesia scritta del vocalist e riportata sul retro album, e che introduce la particolare ballata Joanie's Butterfly; la canzone si perde eccessivamente in fraseggi inutili e ripetitivi e presenta delle percussioni piuttosto fastidiose, tuttavia non è certamente da buttar via e denota, finalmente, un buon lavoro chitarristico da parte di Dufay e Crespo. Un'impennata si scorge con la title track: Rock in A Hard Place (Chesire Cat) sembra un pezzo uscito da "Draw The Line", con un ritornello accattivante e un divertentissimo miagolio di Tyler nella parte finale del pezzo, e forte di una ritmica ben congeniata da Kramer. Jig Is Up scade nuovamente nella banalità, a nulla vale il tocco funky aggiunto da Crespo, il pezzo è noioso ed inconcludente, se non per un breve solo di chitarra. Particolare invece la conclusiva Push Come To Shove, ballata al piano tutta incentrata sulle doti canore di Tyler, che, come al solito, non delude e si dimostra un vocalist versatile e capace, sicuramente il punto di forza di quest'album.
Riassumendo, il disco mostra pochi momenti fortemente positivi, ma non è nemmeno una caduta di stile; lo considererei invece un lavoro poco riuscito, anche e sopratutto per la mancanza, come già detto, di due componenti storici della band.
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