Al muretto che recinge le rovine è affisso un foglio di carta plastificato con un testo in tedesco e qualche micio disegnato. C’è tutta una classe invisibile di stranieri illuminati che vivono in Italia. Dalle loro finestre, probabilmente, guardano il traffico impazzito, testimoni dell’avvicendarsi degli inefficaci governi, maledicendo l’italica barbarie ma perdutamente innamorati di qualcosa che è qui e non altrove.
Nelle loro case sposano gli spaghetti al caffè lungo, i mobili antichi alle ceramiche Wedgwood e i copriletti patchwork – o i paralumi di vetro colorato Tiffany - a intimi di Valentino o gioielli di Bulgari, mentre il nostro sole rinascimentale ingiallisce i loro libri incomprensibili. Devono provare un senso di alienazione, a vivere così tra un passato personale dal quale da sempre stanno prendendo le distanze ed un presente che non è ancora davvero loro. Non qui e non lì, a metà tra un immodificabile, radicato passato e un futuro che forse vedrà il villaggio globale trionfare sui parrocchialismi, è anche questo bel mélange, una delle contaminazioni più ascoltabili degli artisti della Real World.
I punti di sutura di questo Frankenstein musicale sono nascosti ed ogni membro conserva intatte le prerogative originarie. Dall’Irlanda le zampogne importano la liricità, i jig la camerateria, l’arpa l’incanto, il fiddle la nostalgia. Dall’ Africa le percussioni riportano l’entusiasmo, le voci l’istintualità, i tamburi parlanti la dignità e i fiati il mistero. Maestro di cerimonie è una sezione ritmica molto prominente, che sfoggia una istintiva conoscenza dei ritmi trance per coinvolgere tutti. L’incontro non tarda a mutarsi in una celebrazione, ora nostalgica (“Saor” ) ora frizzante (“Whirl-y-reel” ), ma sempre - e a volte sfrenatamente (“News from Nowhere” ) - pop.
In questo pianeta immaginato, uno dei tanti della galassia world trance, mi sento straniero, spaesato, ma più umano.
Lascerò il Kitekat nel prato, accanto alla fontana della maschera di legno. Anche noi italiani dobbiamo contribuire al benessere dei nostri randagi, segni di vita dalle multietniche amicizie.
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