Fui scaraventato da un auto esausta nei dintorni di Udine accompagnato dall'impazienza e da due cari compagni di viaggio. Assopito dal vento estivo che segue un temporale osservo la cittadina nella sua umile bellezza, come una candida ragazza senza pretese.

Suoni, metallici e cadenzati. Uno, due, tre. Respiro. Dall'altra parte del telefono il Muc, non si trattiene a lungo, dice soltanto: "Enrico pesce", poi riaggancia. Tutto questo deve avere un senso, penso mentre è già il mio turno alla biglietteria. Enrico pesce ? Ripeto interrogandomi ad alta voce, senza accorgermi.

La ragazza dietro il banco sorride, controlla distrattamente un foglio senza smettere di guardarmi, poi strappa tre biglietti e me li porge indicando la scalinata d'entrata. Grazie, ho pensato. L'attesa durò tre pinte medie, mentre un inutile gruppo fortunato introduceva l'arrivo degli artisti, quelli veri. Il tempo di tolgliere i drappi dagli strumenti e dalle coscienze ed il concerto si presentò da sè, senza che pregiudizi ed aspettative potessero intaccare melodie disinibite sorte dal profondo dell'animo, ben lontane dall'artificio del Dio denaro, caratteristico di quest'era musicale.

"E' la fine la più importante", così comincia il viaggio. L'inizio e la fine. I paradossi dell'esistenza. Seguono senza interruzioni gli ultimi lavori "Ballate per piccole iene", "La sottile linea bianca", in un susseguirsi ininterrotto di accordi, sospiri, urli e lunghe sorsate di vino rosso che Agnelli custodiva geloso ai suoi piedi. Sulla scenografia del castello medioevale friulano i cinque menestrelli dilettano ed intrattengono con saggia maestria chi, sotto il palco, è testimone all'opera.
E nemmeno l'arroganza del citato leader stona. Il castello, la corte. Stasera è lui il conte, lui il maestro che dirige, tutto autocompiaciuto ed egocentrico all'asfissia. Stasera glielo concediamo. é il momento di "Vedova bianca", con quel ritornello straziante che ti contorce le budella in un soffocato e rassegnato grido d'aiuto "Un bacio sporco sai, sa spogliarmi il cuore dagli incubi.. Vieni a fare un giro dentro di me, o questo fuoco si consumerà da sè". Pausa. Ma raccolgo le mie provate membra solo qualche istante dopo.

"Quello che non c'è" e la lacerante "Non si esce vivi dagli anni '80" ridestano l'esigue folla in un coro all'unisono: "..Scoprendo che l'amore passa, l'herpes è per sempre!". Attorno, lacrime. Il conte sorseggia il vino rimasto, ritorna gli applausi e in bilico sopra la cassa si autocelebra. Questa volta per concludere. Lieve introduzione alla fine, epilogo di uno spettacolo che prima è vita, poi sogno. Infine morte.

"Bye Bye Bombay" Afterhours, liturgia di melodie che mi prottegono dall'infelicità.

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