L'ABBAmania è come la malaria: contratto il contagio, la malattia si presenta a periodi alterni, facendo seguire a momenti di quiescenza (che fanno pensare di essersi liberati dai loro tormentoni pop) ritorni di fiamma intensissimi. Internet di sicuro non aiuta a guarire, anzi, offre strumenti versatilissimi per approfondire il discorso e scoprire lati sempre più nascosti della storia della band svedese.
Capita, ad esempio, di scoprire che la vera star del gruppo, al suo esordio, era Agnetha Fältskog, la bionda Regina Agnetha Abba (come viene definita nel cult "Priscilla, La Regina del Deserto"), che già dalla fine degli anni sessanta vantava in patria una carriera da pop star, sorta di strano incrocio fra Orietta Berti e Patty Pravo in salsa hippy. Ascoltando i suoi brani pre-Abba, tutti rigorosamente in svedese (con ogni tanto qualche concessione al tedesco), ci si fa di Agnetha l'idea di una cantautrice (sì, le canzoni se le scriveva da sola) dedita al classico stile "schlager", ovvero melodie zuccherose con forti legami con il folk nordico. Continuando a cercare ci si imbatte, però, anche in una manciata di brani profondamente diversi, contraddistinti da un pop decisamente maturo, arrangiamenti più ricchi, atmosfere mutevoli e smaliziate, e si nota infine che tali brani appartengono tutti a "Elva Kvinnor i ett Hus" (gli informati dicono che significhi "Undici donne in una casa"), album pubblicato dalla Fältskog nel 1975.
Sarebbe facile dire che i motivi di tale scarto siano da ritrovare nell'esperienza con gli ABBA, mentre la storia alle spalle dell'LP in questione finisce per rendere il lavoro ancora più prezioso. Nel 1974, dopo il boom del singolo "Waterloo" e il flop di un paio di altri singoli, i più si erano convinti che gli Abba non fossero altro che l'ennesima "one-hit wonder"; in Inghilterra alcuni manager si erano così decisi a cavalcare il fenomeno, tentando di lanciare Agnetha come solista. Ne era uscito il singolo "Golliwog", caduto immediatamente nel dimenticatoio. Contemporaneamente gli Abba si erano rifatti vivi e con "SOS" e "Mamma Mia" avevano dimostrato come fossero ritornati per diventare un autentico fenomeno. Da parte sua, Agnetha doveva aver compreso che quell'album che aveva in mente sarebbe stato per un po' di tempo il suo ultimo contributo assolutamente personale, decidendo così di mettere tutta la sua anima e tutto il suo talento nel progetto.
Il risultato non è di quelli destinati a passare alla storia come un capolavoro, o una pietra miliare, ma è un vero e proprio gioiellino di pop adulto, splendido easy listening come non se ne fa più, ben composto, ben interpretato a livello vocale e ben accompagnato a livello strumentale. Se si evita di ascoltare la versione svedese di "SOS" con cui l'album, per imposizione della casa discografica, si apre, si entra in un mondo diverso non solo dalla Fältskog degli esordi, ma anche da quello degli Abba. "En Egen Trädgård" ci avvolge con archi generosi e accordi di pianoforte sincopati lasciandoci gustare la bella melodia del cantato (unica pecca: tutto il "bridge" affidato interamente alla vocalizzazione "la-la-la"). C'è spazio poi per le composizioni più intimiste come "Tack för en Underbar, Vanlig Dag", folk in tre quarti semplice semplice, la traccia più legata al passato "schlager" della cantante, "Öch Han Väntar På Mej", deliziosa nel suo cantato morbidamente adagiato sulla chitarra classica e in certi "trillini" dal buon sapore seventies, e la conclusiva "Visa I Åttonde Månaden", dedicata alla propria seconda gravidanza, speranzosa e riservata nella sua semplicità. Si trova l'Agnetha più furbetta e sexy nella sbarazzina "Doktorn", tango divertente che non sarebbe risultato fuori luogo in bocca al migliore Julio Iglesias, e nella stupefacente "Gulleplutt" (ovvero, la versione svedese di quella "Golliwog" di cui si è già parlato), brano spigliato dove la voce di Agnetha assume tratti volutamente infantili e la musica si riempie di reminescenze che vanno dal McCartney meno serioso fino alla Kate Bush degli esordi. L'esperienza negli Abba lascia la sua traccia nel singolo "Dom Har Glömt", pop a dir la verità abbastanza scontato, e nella coinvolgente "Var Det Med Dej", brano di solidissima struttura, deciso anche nell'interpretazione robusta (ma mai sguaiata) e caratterizzato da cori di vago sapore hippy nell'arioso ritornello. E c'è infine lo spazio per due ballate di grande bellezza; la prima è "Mina Ögon", già apparsa in "Ring Ring", album d'esordio degli Abba, con testo inglese e il titolo di "Disillusion" (caso più unico che raro di canzone della band che non sia firmata dalla coppia Anderson-Ulvaeus). Si tratta di una classica ballata dedicata all'amore perduto, sentimentale quanto basta, con strofa in tonalità maggiore e ritornello in minore, che a tratti assume anche una certa epicità (grazie anche alla magnifica voce di Agnetha). La seconda, "Är Du Som Han", è il vero gioiello dell'intera raccolta, con i suoi movimentati accordi di pianoforte che sembrano venire direttamente da Carol King, la bellissima melodia vocale e l'evolversi del brano tutt'altro che scontato, verrebbe quasi da dire complesso, se non fosse che il tutto viene reso con una naturalità e una sobrietà degne della migliore musica.
"Elva Kvinnor..." non era, e non rimane, un lavoro destinato al "grande botto" commerciale, ma è un lavoro di una sincerità e di una delicatezza davvero squisiti, che rende al meglio nel lungo periodo, tanto che ai tempi, in Svezia, la sua scalata alle classifiche si fermò all'undicesimo posto, rimanendoci però per ben cinquantatre settimane. Si sa, i dati di vendita non è che dicano molto della qualità della proposta, ma con un po' di curiosità (e magari una visitina a questo sito) ci si può permettere anche un'esperienza musicale assolutamente soddisfacente.
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