Se il mercato della droga va avanti ancora oggi, fiorente e sempre più esteso, gran merito ce l'hanno anche loro. 

Sotto il monicker Agoraphobic Nosebleed si nascondono, dal 1994, le immaginazioni più folli, perverse e politicamente scorrette di quel bel giovine, cordiale e rassicurante, che risponde al nome di Scott Hull (già militante nel gruppo ultra brutal indie folk dei Pig Destroyer). La sua proposta "musicale", se così si può sintetizzare, viene identificata in un particolare sottogenere del più noto grindcore, chiamato cybergrind: pezzi della durata massima di trenta-quaranta secondi, tutti molto simili fra di loro, dove chitarre iper-distorte vengono ulteriormente brutalizzate da marasmi di pesantissimi synth elettronici e da sovrastrati di growl e screaming, sotto un tappeto ritmico allucinante, nel quale la batteria viene rimpiazzata in toto da una più funzionale drum machine, adatta a raggiungere velocità di 150-200 battiti per minuto. Una rapidità esecutiva che, sottolineiamolo, nessun percussionista sarebbe umanamente in grado di superare o, addirittura, raggiungere.

Ora, messo in chiaro che questa non è musica con la quale si nutrono giornalmente i bambini dell'oratorio, aggiungiamo un altro dato interessante. Ovvero, spostiamo le lancette dell'orologio indietro nel 2003, quando la nostra banda gioconda (stabilizzatasi, fra l'altro, con i provvidenziali ingressi di James Randall, ex Isis, e Richard Johnson) se ne usciva sotto Relapse con quel dolce quadretto low-fi di "Altered States Of America", 100 piccolissime tracce compresse in appena 20 minuti di puro e sincero macello sonoro. Dalla copertina, con una Natività reinterpretata in stile gustosamente vintage, all'artwork interno, costellato da piccole immagini di pastiglie colorate, bustine non sospette, strani cucchiaini, fino a quel continuo flusso rumoristico che viaggiava fra trip psichedelici, accelerazioni brutali, riff schiacciasassi e samples estratti da pellicole pornografiche, per finire con liriche influenzate da sesso (tanto), droga (troppa!), politica, fatti più o meno raccapriccianti di cronaca nera, qualche rimembranza storica e, dulcis in fundo, le immancabili sparate contro il Cristianesimo ("Fuck Your Soccer Jesus" vi dice qualcosa?). Ora riuscite a capire il perchè della mia affermazione iniziale.

Quattro anni dopo, nulla è cambiato. I componenti sono gli stessi, la pazzia è sempre lì, spunti ce ne sarebbero quanti se ne vuole. E loro, certamente, non se ne sono rimasti in silenzio: anche se l'album vero e proprio deve ancora arrivare, i quattro hanno avuto tutto il tempo per licenziare un'innumerevole serie di demo, EP (fra cui il "Clockwork Sodom" di quest'anno) e split vari.

Fra le uscite più corpose ed interessanti, si pone certamente il doppio "Bestial Machinery" del 2005, una bella raccolta di tutto il materiale, fra b-side ed inediti, che Hull e soci -intercambiabili- hanno realizzato a partire dalla loro nascita fino ai giorni d'oggi. Uno sguardo complessivo su tredici anni di onorata carriera underground, che viene grossomodo sintetizzato (...sintetizzato?) in un numero complessivo di centotrentasei brani, settantasei in un cd e sessanta nell'altro, oscillanti fra i quattro secondi e i due minuti-due minuti e mezzo di durata.

Tanta carne al fuoco, dunque, e non certo tagli di seconda scelta. Perchè, se i profani del genere potranno tagliare corto con un "tanto questo è solo rumore", non così potrà essere il discorso per i simpatizzanti o, addirittura, per i veri e propri ammiratori. Il marchio di fabbrica del gruppo, psicotico e completamente fuori controllo, si riesce a respirare in ogni singolo brano della raccolta. Si riconosce il modo di suonare un determinato riff, si capta immediatamente lo screaming sedato di Randall, e sembra che anche la drum machine abbia impresso a fuoco, nel suo incedere martellante e catatonico, il nome del gruppo. E la sfilza di tracce in successione, una dietro l'altra, senza respiro, come in una mitragliatrice letale ed asmatica, beh, quella è proprio una loro caratteristica. Ma, tralasciando l'enorme quantità di simil-sfuriate ed apocalittiche carneficine, abbondantemente condite dai BPM inarrestabili e dai testi grugniti in modo semi-comprensibile, con la solita blasfemia ed il solito, malato sarcasmo ("The Executioner Vs. The Sodomite", "10,000 Bullets", "Holy Mountain", "Black Market Blastbeats", "I Smell Really Bad", "Tough Guy Bullshit", "Ritalin Attack", "Absolutely No Samples", "Silence", ma ce ne sarebbero ancora a bizzeffe), è d'obbligo fare un paio di osservazioni.

Anzitutto, un appunto riservato al suono generale di questo "Bestial Machinery". Appare chiaro che gli Agoraphobic Nosebleed abbiano voluto preferire il periodo pre-2002 (relativo dunque ai "Poacher Diaries" coi Converge, o ai primi demo) a quello post-"Altered States Of America". Gli incastri ritmici, la foga, ma anche un non so che di attitudine, tutto rispecchia fedelmente più una certa cultura hardcore, grezza e ruvida, che una diretta discendenza robotica e cinetica quale quella cybergrind. I pezzi che suonano meno distorti e, in un certo senso, più "datati", sono certo più d'uno, a cominciare da "Ladies And Gentlemen", che chiude l'abbondante session del secondo disco.

Poi, la particolare attenzione con la quale il disco è stato prodotto. Non c'è, finanche, niente da dire. I pezzi presenti sono tutti compatti, uniformi, cattivi, continui, come nella migliore tradizione del gruppo, ma soprattutto sensati. Per non parlare, poi, dell'insolita lunghezza che alcuni di essi presentano (ben oltre il minuto!), senza per questo cincischiare inutili proclami o perdere il filo logico, se di logica si può parlare, del discorso.

Infine, la sperimentazione. Come già detto, non tutti i centotrentasei brani sono un florilegio di "booooooom", o di "grrrrrrrrrruaaaaaaaarrr", oppure di "ggroarghhghghghgh". Ci si sente anche la voglia di esplorare territori che, pur familiari alla band, sono sempre serviti da accompagnamento. Ad esempio, lo sludge-core di "Lithium Daydream", oppure il favoloso industrial di "Unholy BMX Fight The Nod", o la melviniana -si fa per dire- "Ketamine And Kryptonite".

Le due belle cover di "Forgotten In Space" dei Voïvod (cd n°1) e di "Control" dei Napalm Death (cd n°2) chiudono infine quest'opera. Indispensabile per i neofiti, solo superflua, ma assai gradevole, per i più esperti. Sempre se non vi dia fastidio sganciare venti euro per settantanove minuti di musica, più o meno come "Lateralus" dei Tool, spalmati in centotrentasei tracce.

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