Fra i principali interpreti della nascente Fusion d'inizio '70 si colloca un musicista formidabile, spesso (e ingiustamente) ricordato soltanto in ragione delle sue pur significative e pregevoli collaborazioni; considerare semplice "session-man" l'artista in questione sarebbe operazione quantomai riduttiva e limitante, oltreché irrispettosa, tenendo conto del decisivo ruolo svolto da costui nell'importare nell'unverso del Jazz americano ritmiche e sonorità sino allora del tutto sconosciute a gran parte del pubblico di lingua inglese, nonché indicative di certi indirizzi marcatamente "ethno-oriented" che molta Fusion del decennio (e anche di quello successivo) avrebbe seguito.

Percussionista e "noise-maker" (come certi critici, non a caso, amano definirlo) di indubitabile qualità e carisma, il brasiliano Airto Moreira è soprattutto enciclopedico conoscitore (e filologico e maniacale cultore) dei "patterns" ritmici d'uso in generi come il Samba, la Bossa Nova e le musiche di ascendenza afro-cubana, fornendo nei propri lavori solisti un magistrale e coerente esempio di sintesi di variegate, eterogenee esperienze fra le quali sa districarsi con somma disinvoltura, a tratti dimostrandosi anche capace di parlare il linguaggio dell'improvvisazione più estrema, più "totale". Per di più, con piglio che non esiterei a definire genuinamente "artigianale", dal momento che, accanto agli strumenti canonici della tradizione percussionistica brasiliana (e latino-americana in genere), Moreira è al contempo avvezzo ad impiegare insoliti e bizzarri strumenti "di produzione propria", spesso ricavati assemblando oggettistica varia d'uso quotidiano, a ulteriore conferma di un vorace, insaziabile spirito di ricerca: senz'altro la qualità più apprezzata dagli artisti che, negli anni, lo hanno voluto alle proprie dipendenze: da indiscussi "santoni" della Fusion, cultori delle pionieristiche sonorità del nuovo Jazz elettrico, quali i Weather Report e il Chick Corea dei Return To Forever, passando per il Santana di "Borboletta", fino ad arrivare ad esponenti d'eccezione di certo cantautorato "colto" americano (su tutti, Paul Simon: si ascolti l'arcinota "Me & Julio Down By The Schoolyard", dall'album del debutto solista del newyorkese, e non si avrà fatica a riconoscere il peculiare tocco percussionistico di Airto). 

Originario di Itaiòpolis nello stato di Santa Catarina (ma paulista di adozione), classe 1941, Moreira è già una celebrità negli ambienti dell'aristocrazia Jazz quando, nel 1973, arriva ad incidere questo "Free", fiore all'occhiello in una discografia nutrita e sempre costante per qualità della proposta. Per la verità, la mia scelta avrebbe potuto benissimo riguardare altri album molto significativi del Nostro, quali ritengo si possano considerare tutti quelli prodotti nella prima metà dei Settanta, il periodo di maggiore creatività per Airto. Ho scelto "Free" in ragione: e del valore dei musicisti impegnati, parametro decisivo quando mi trovo a valutare un'opera discografica (soprattutto se di ambito Jazz-Rock o Fusion), e della rilevanza storica dell'album nell'evoluzione di uno specifico linguaggio dell'improvvisazione percussionistica, qui illustrata nello sconvolgente sviluppo della "title-track"; improvvisazione di cui Moreira sa dimostrarsi agile ed eclettico sperimentatore. Nella suggestiva "free-form" imposta dal leader si riconoscono le influenze (ovvie) del Miles Davis elettrico, ma soprattutto si respirano le esotiche atmosfere di un Brasile indigeno, selvaggio, pre-coloniale; stilemi jazzistici e spirito delle danze tribali amazzoniche convivono in un vitale, vibrante marasma di collisioni sonore e momenti di eterea, sognante rilassatezza. Quell'estetica del sincretismo stilistico che "Bitches Brew" aveva reso principio fondante della "nuova forma" musicale, aprendo un singolare dialogo fra la millenaria eredità africana e le pulsazioni delle metropoli d'Occidente, trova qui nuovo vigore, nuova attualizzazione nel contesto del caleidoscopico ventaglio degli stili percussivi della tradizione sudamericana (vario ma non scolastico repertorio cui attingere liberamente). Risalta, in analogia con l'immortale capolavoro davisiano, la tecnica della moltiplicazione timbrica ottenuta sovrapponendo basso elettrico e contrabbasso, a creare un alienante effetto di "poli-dimensionalità" ritmica, ulteriormente accentuata (con sicuri esiti di disorientamento) dalla varietà percussiva di Moreira (pandeiro, surdo e congas sono di certo, fra quelli impiegati da Airto, i più conosciuti fra gli ascoltatori medi, ma rappresentano solo una minima parte delle "risorse sonore" varie sfruttate dal percussionista nell'album in questione). E risalta, ancora in analogia con "Bitches Brew", la presenza di più umori contrastanti a convivere in uno stesso pezzo, nonostante la formale condivisione di canovacci armonici tipici del Samba e dei relativi sottogeneri.

E' infatti un tema tipicamente Samba quello esposto dal piano elettrico di Chick Corea ad introduzione dell'iniziale, maestosa "Return To Forever", libera rivisitazione del cavallo di battaglia dell'omonimo gruppo (contenuto nell'album d'esordio di Corea e soci al quale, appena un anno prima, lo stesso Airto aveva partecipato); suadenti linee vocali di Airto e della moglie, l'eccellente vocalist Flora Purim) si accompagnano alle sonorità del flauto di Joe Farrell, qui impegnato anche al sax; è lo stesso Farrell ad eseguire il primo assolo tra vorticose evoluzioni, prima di lasciar spazio al piano di Chick Corea, che in quello che (non lo si dimentichi) è un SUO pezzo non può sfigurare, sfoderando fraseggi introversi ed ispirati come da par suo. Lo sviluppo del brano si interrompe per poi riprendere, dopo una sezione di soli sussurri fiatistici e percussioni, ancor più sostenuto sotto il profilo ritmico, e ancora con Corea a fare la parte del leone poggiando sul turbinoso sostegno di Airto; già preannunciata, ma varrà la pena di sottolinearla nuovamente, la compresenza del contrabbasso di Ron Carter e del basso elettrico di Stanley Clarke.

E' invece la chitarra acustica di Jay Berliner ad aprire l'altrettanto valida "Flora's Song", personale dedica del percussionista alla moglie (una delle tante dediche, per la verità, considerando anche il resto di carriera). Più rilassato l'andamento di questa secoda composizione, con belle linee proposte dalla graffiante chitarra e i precisi, sempre contestuali interventi di un magistrale Keith Jarrett al piano, capace di conferire al pezzo una vena decisamente più jazzata, rispetto allla pervasiva etnicità del brano iniziale (e comunque presente anche qui, seppur più diluita). A cimentarsi nella sostanziale monotonalità di questa singolare "song" è (al flauto) un altro fiatista di fama come Hubert Laws, destinato a una brillante carriera da solista. Tra rallentamenti e repentine accelerazioni , sottolineate dai "campanelli" di Moreira, si prosegue fino al termine.

La seconda parte dell'album è introdotta dai dieci minuti della già ricordata improvvisazione percussionistica di "Free" (naturalmente, il titolo è tutto un programma, in questo caso): un immaginario viaggio sonoro tra le atmosfere della foresta pluviale amazzonica, scandito da urla tribali degne di riti iniziatici e sostenuto dalla genialità di un incontenibile Moreira. Si riprende fiato con le gradevolissime linee armoniche della dolce (e flautistica) "Lucky Southern" (ospite d'eccezione George Benson alla chitarra): accattivante e suggestiva, la melodia di questa breve parentesi, prima della chiusura riservata alla più sperimentale "Creek"; in essa si ascolta un Joe Farrell più interessato ad esternare gli "umori" del suo sax-soprano, ritagliandosi chilometrici spazi solistici ben coadiuvato dal contrabbasso di Ron Carter e, ancora una volta, dal piano (classico) di Chick Corea, titolare a sua volta di un assolo perfettamente calibrato e variato.

Cinque stelle per un Capolavoro della Fusion anni '70. Imperdibile occasione di venire a contatto con la sensibilità di un "maestro" delle percussioni, oltreché con autentici fuoriclasse dello strumento. Ascolto irrinunciabile.

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