La trama avrebbe tutti i requisiti per dare alla luce un film frenetico, quasi convulso nel suo veloce procedere, oppure potrebbe far sovrastare il lato oggettivamente drammatico della vicenda con pesanti e lente scene silenti, fino all’epilogo spiazzante.

“Miracolo a Le Havre” gode invece di una delicatezza magnetica, oserei definire poetica, nel suo serafico incedere fatto di appaganti riprese che ci spiazza e conquista quasi contemporaneamente.

Un lustrascarpe ambulante (André Wilms) dal carattere meraviglioso è il protagonista di questa storia drammatica narrata con fare leggero e arioso nella quale si intrecciano amore, malattia ed immigrazione. E’ questa dicotomia, la capacità di saper affrontare le insite difficoltà di una vita fatta di stenti con il sorriso e la testa alta, che ci circonda come un caldo abbraccio materno e funge da indiscutibile perno del film.

Aki Kaurismäki ci offre un’ora e mezza di speranza ed umanità, ci invita a lasciare da parte la diffidenza a prescindere ed il cinismo imperante. Ci chiede, quasi in ginocchio con scene dolcissime fatte di piccoli gesti, di non sottovalutare la forza della collettività la cui freddezza può dissolversi improvvisamente proprio nel momento del bisogno ed in modo del tutto insperato. Il regista ci fa notare come non sempre le prime impressioni, i frettolosi giudizi che affibbiamo alle persone con mezza occhiata, siano corrette e come negli individui possano coesistere diverse sfaccettature comportamentali.

In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo tale film può sembrare una fiaba fuori dal tempo, completamente anacronistica, quasi delirante.

Negli ultimi anni ho visto diversi film drammatici molti dei quali potenti e devastanti nella loro fedele trasposizione della realtà più cupa e senza speranza. In questo istante, per restare in Francia, mi torna in mente lo stupendo “Welcome” la cui trama ha diversi punti di contatto (un clandestino che cerca di andare a Londra e viene aiutato da un adulto in crisi) con questa pellicola. “Miracolo a Le Havre” è completamente diverso nel suo messaggio da bicchiere mezzo pieno e riesce a trattare una storia drammatica con una leggerezza fuori dall’ordinario facendomi ricordare che il cinema può colpire in diversi modi. Credo fosse proprio quello di cui avevo bisogno e l‘ho capito quando mi sono avviato verso l‘uscita.

Aki Kaurismäki svolge un lavoro superbo e lascia al ragazzo che rincasa con quella sua andatura veloce e sbilenca un po’ di speranza. Ma non grassa ed indigesta melassa a buon mercato spalmata con eccessiva generosità, bensì quella giusta dose propria di chi sa il fatto suo e che mi fa guardare al futuro, quello difficile che mi aspetta, con un po’ più di fiducia. Almeno per un po’.

Sette sono quelli che si merita. No, non voglio dopare il metro di valutazione della "mucca", ma mi riferisco agli euro richiesti alla cassa.

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