Forse questo momento, il periodo con più luce di tutto l'anno per noi abitanti dell'emisfero boreale, è quello adatto per provare a spendere del tempo per parlarvi di una mazzata nei denti che risponde al nome di "Alabama Monroe". Le giornate lunghe, infatti, si dice che abbiano un effetto positivo sull'umore delle persone: nel mese di giugno ci sentiamo carichi perché l'estate, quel forno pieno di illusorie aspettative, è ancora tutta davanti a noi come un'intonsa strada con l'asfalto nerissimo appena sfornato. Di quelle larghe e tutte curve che è un piacere percorrere a tutta velocità facendo stridere i copertoni. I tempi tuttavia sono bastardi e di conseguenza è probabile che molti di voi, in culo alle dodici ore di sole e alle teorie sulla meteoropatia, non siano particolarmente su di morale; in tal caso fate finta di non aver cliccato su questa recensione e andate altrove. Fidatevi, non avete proprio bisogno di "Alabama Monroe". Non ne avevo bisogno nemmeno io, ma tant'è. 

Lui è un suonatore di banjo in una band di bluegrass, lei una tatuatrice dalla voce limpida che sul suo corpo ha segnato, e coperto, ogni momento importante della sua vita. È una storia d'amore travolgente la loro; di quelle che, BANG, non capisci più un cazzo e tutto il resto rimane sfuocato, scentrato, come se fosse un anonimo sottofondo sonoro. Questa favola rischia di spezzarsi con l'arrivo non preventivato di una figlia, ma questa crisi verrà superata e riuscirà consolidare ulteriormente un rapporto genuino e puro, fatto di passione e scevro di falsità e finzione. La solidità del nucleo famigliare è talmente forte che nemmeno l'evento più terribile riuscirà a rompere l'unione con uno strappo secco. Sarebbe stato meglio perché invece sarà un'erosione continua quella che minerà le fondamenta della coppia acuendo le differenze tra marito (realista ed ateo convinto) e moglie (sognatrice credente). In un vicolo cieco, senza mosse a disposizione ,(scacco matto), cercheranno comunque di affrontare nel modo migliore una tragedia orribile. Gli attori che impersonano i due protagonisti (Johan Heldenbergh e Veerle Baetens) sono talmente bravi che gli spettatori percepiranno fin troppo bene un dolore sì forte, da risultare quasi insopportabile. 

L'opera è impregnata di dolcezza e struggente drammaticità, con pochissima retorica al caramello al seguito, che anche i più "machi", coloro i quali si dichiarano allergici alle lacrime, anche loro, potrebbero accusare qualche perdita dagli occhi. Non voglio svelarvi la trama, il finale, e voglio chiudere qui sperando di avervi incuriosito.

Mi domando come un'opera del genere, con una sceneggiatura così ispirata, forte e coraggiosa, capace di toccare temi delicatissimi con un'ottima resa dal cast, con una colonna sonora che meriterebbe una recensione di un esperto... Mi domando come abbia fatto questa perla belga a non vincere, per distacco, l'oscar come miglior film straniero. 

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