Un disco ispirato agli anni ‘80 non è di per sé una grossa novità. Anzi, detta così non può che evocare lo stucchelove manierismo dell’indie-pop contemporaneo di andare a saccheggiare gli arrangiamenti di Umberto Tozzi per cantare di emicranie d’amore, ma non tutta la nostalgia vien per nuocere. Alan Elettronico, che già dal nome non vuole lasciare dubbi sul fatto di appartenere ad un’altra epoca, si presenta sul mercato discografico con disco che la label, la Projekt Records, cataloga come synthwave e, udite udite, “space disco”. Ora, la space disco fu una particolare branca della disco, di brevissima durata, tra il 1977 e il 1980, ma che ha lasciato un certo impatto nell’immaginario collettivo: gente come i Rockets, gli alieni italofrancesi dipinti d’argento, gli amplessi alternativi di Dee Dee Jackson impegnata con un Automatic Lover e un Meteor Man, insomma tutto quel glam spaziale in lycra e glitter che faceva ballare con suoni a metà tra l’acustico e l’elettronico che raramente si è poi ripresentato sulla scena musicale. Un’eccezione è stata l’house francese di fine millennio che guardò con compiaciuto interesse a quell’epoca, che sicuramente Elettronico ha studiato con un’attenzione direi maniacale. È lui stesso nella press release a citare le fonti per ogni brano di questo album di 8 tracce che, diciamolo subito, si mimetizza perfettamente tra i vinili dell’epoca: Giorgio Moroder, Lipps Inc., i fratelli La Bionda. E in effetti non può non venire in mente “I wanna be your lover” di questi ultimi ascoltando “Space Beyond”, o il vocoder di “Funky Town” ascoltando le voci robotiche di “What Am I?” e “VideoGirl”. E inevitabilmente, si balla: non ritmi frenetici, si viaggia comodi tra i 110 e i 120 bpm, ma i 4/4 con basso incalzante e i synth old school ti strappano subito un head bobbing sin dal primo intro. Un disco energetico, sfacciatamente retro, di uno che ama proprio quel che sta facendo e lo fa sentire.

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