I fan Parsoniani dopo il buon Gaudi del 1987 archiviano i lavori dei Project, notizie certe danno la rottura del sodalizio artistico con Eric Woolfson, la voce icona e co-autore. E' la fine?
Per fortuna no....dopo 6 anni Alan Parsons pubblica questo "Try Anything Once", con i consueti musicisti di sempre. Squadra vincente non si cambia. Andrew Powell compreso.
Grandi aspettative da questo lavoro che dovrebbe non far rimpiangere, se non in parte, i vari Pyramyd, I Robot, The turn of...
In parte ci riesce. Apre tutto "Three of Me" con un intro potentissimo che sorprende. Un brano che merita più di qualche ascolto per essere apprezzato in pieno. Musicalità non immediata sintomo del gran lavoro in studio e in fase compositiva. Troviamo tutte le armi aguzzate del Parsons e soci ben affilate. Atmosfere uniche con nessun risparmio sugli arrangiamenti. Si...sono i Project.
Segue "Turn it Up"...singolo dell'opera ben lontana dall'essere un tormentone alla "Eye in the Sky". Toni tranquilli con un affascinante intermezzo di sinth va e vieni....alla "Games People Play". Le formule sono quelle di sempre, ti corrompe le orecchie e affascina. Buon pezzo e bell'assolo di Bairnson, grande chitarrista.
"Wine from the Water" troppo lunga e sempliciotta e non degna di nota. Annebbiata dai pezzi precedenti. Ballatina british. Eccoci quindi alla strumentale "Breakaway". Espedienti ormai collaudati da tempo, riff con il sax ripetitivo e Philarmonica schierata. Simpatica in stile '80. Fa da intro alla notevole "Mr. Time" cantata dalla suadente voce femminile di Jaqui Copland. Piuttosto introspettiva e Floydiana nell'inizio. Ma gli otto minuti e passa scorrono bene. Tra i brani migliori.
"Jigue"
, strumentale in stile medievale dove si sente lo spartito tipico alla Powell. Starebbe bene in "The Turn of a Friendly Card" come collocazione stilistica. Interessanti gli intrecci iberico-medievali. Siamo al classico pezzo Parsoniano da sigla.
"I'm Talking To You" regala dei bei momenti con stacchi orchestrali e cori ben organizzati. Suonata in levare. Buon pezzo.
Dopo si può sprofondare nel divano guardando vecchie foto con la splendida "Siren Song". Niente di nuovo nel catalogo, ma l'atmosfera è bella e porta volenti o nolenti a "To One in Paradise". Rilassante. La seguente "Dreamscape" di Bairnson è un'altra camomilla per i timpani, siamo nella campagna del Sussex, dove hanno registrato, nei nuovi "Parsonics" studios. Una buona tazza di tè caldo guardando la nebbiolina che solca l'orizzonte.
"Back Against the Wall" ricalca molte idee del passato ad es. "Psychobabble". I ripetuti citamenti a lavori precedenti sono inevitabili, considerata l'evidenza all'ascolto. "Rejigue" è il reprise, tra l'altro migliore, della strumentale. Serviva? Mah. "Oh Life" è uno dei tre pezzi considerevoli dell'album. Molto bella e malinconica. Segue un crescendo sino al grande assolo di chitarra. Bel pezzo.

La rimpatriata della formazione con l'Alan Parsons in testa non dà particolari scossoni ai soliti estimatori se non il primo pezzo, quasi innovativo. Sembra non si voglia rischiare niente e usare al meglio il know-how. Pervade latente una certa stanchezza, non c'è più la magia dei primi lavori. La mancanza della voce di Woolfson si sente, i nostalgici non perdonano.
Lodevole e scontato l'uso della tecnologia, eccelsa. Le aspettative vengono soddisfatte alla sufficenza. Il booklet interno è meraviglioso con un servizio fotografico colossale di Storm Thorgerson. E' un lavoro energico ma allo stesso tempo scarico. Se non si ha niente dell'Alan Parsons non è un brutto inizio, anzi. Se si ha tutto come nel mio caso, si ascolta, ma non come I Robot che è proprio un'altra cosa. La vena concept in questo caso viene meno. Ma a quest'omone barbuto dai modi miti dò un buffetto sulle guance e con l'altra mano gli tiro un lobo dell'orecchio. Voto tre stelle e mezzo.

Joe Cavalli

 

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