Per una volta non limitatevi a leggere e chiudete gli occhi lavorando di fantasia. Ecco, immaginate di essere un portiere che per due notti consecutive è al lavoro dal tramonto all'alba all'ingresso di un palazzo nella Lower East Side di Manhattan. Al secondo piano c'è una sala di incisione,  i Dessau Studios, e vi capita spesso di vedere girarci strani personaggi. Ma questi tre che entrano alla spicciolata, scrollandosi la pioggia dell'autunno newyorkese, non hanno niente di particolare, forse solo il terzo è un po' sui generis. Ma sapete, per essere musicisti strani non basta avere piercing dappertutto, un serpente attorno al collo o le nocche delle dita delle mani tatuate con hate e love. Bisogna esserlo dentro, ma veramente. Ben Vaughn, questo tipo allampanato come se ne trovano a dozzine tra i passeggeri della metro, lui sì che è un tipo fuori dell'ordinario, nel 1993 ha fatto uscire un disco completamente mono e nel 1997 ne ha registrato uno nella propria auto usando come alimentatore lo spinotto dell'accendino. Alex Chilton sembra il fratellone più grande con il ciuffone sulla fronte che si trascina sempre appresso due custodie di chitarra, ma da ragazzo ha sfondato con i Box  Tops e ha lanciato i Cramps, purtroppo da troppo tempo corre dietro alla bottiglia. Il terzo, Alan Vega, porca miseria questo  sì che è strano forte, con quei  sunglasses after dark e la coppola a tre quarti manco fosse un Michael Jackson bianco de noantri.  Questo qua, assieme al vecchio compare Martin Rev nei Suicide, ha influenzato più musicisti di Beethoven.

 Che ci fanno assieme questi tre sopravvissuti sepolti ben due notti consecutive nell'ottobre del 1996 in uno studio fumoso? Improvvisano. Già, proprio come faceva Miles Davis e gli altri della cricca quando si portavano appresso gli strumenti per registrare i loro capolavori del bebop. Creano la musica, la eseguono e la registrano. Semplice, vero? Chilton e Vaughn si dividono tra chitarre varie, basso, batteria e tastiere, mentre Alan Vega canta. E domina.

 Il tema di fondo è una sorta di rockabilly che viene dallo spazio profondo, notturno, oscuro, melmoso, pauroso. In "Fat city" sembra di non aver chiuso bene la porta dello studio, puoi sentire addirittura i clacson delle poche auto che strombazzano dalla strada umida, il groove del basso sembra andare a vapore, Eddy Crochan è ancora vivo ed è un vecchio pugile suonato che emette mmmm gutturali provocando sessualmente lo stantuffo della batteria... tum tum tum ed arriva "Fly away", se avete sempre pensato che Jeffrey Lee Pierce fosse la reincarnazione di Jim Morrison allora Alan Vega è quella di tutti e due che per cinque minuti e mezzo implorano "no more tears, no more tears"... Invece "Freedom" è una ballatona romantica da farsi cheek to cheek quando il tuo cadavere risorto nell'alba dei morti viventi si farà ancora fregare dall'amore... Ben Vaughn batte puro voodoo sui tamburi chiamando la venuta di "Candy Man", e non è proprio quello allegro di Cristina Aguilera ma un sacrificio umano alla "Wickerman" invocato dal vocione crooner di  mister Vega... e ancora quel  boogie notturno in "Too Late" condotto da due tlick tlick di piano cui le chitarre fanno una sega elettrificata con  l'effetto eco della voce che induce all'autoipnosi: "too late... too late... too late, baby"... di nuovo  "Sister" è un felino blues con le pulsazioni di un cuore anemico, chissà se Vega ce la farà ad arrivare alla fine senza mangiarsi tutte le parole "... lo.. lo... lov... beb... lov... .o' ma' laif....". Mi rendo conto che chi non ama il genere  abbia bisogno di  respirare un po' di quell'aria fresca della notte piovosa dell'East Side, invece io resto qui a sentire il bel piano di "Dream baby revisited" con la batteria che pare suonare da un'altra stanza.

Alla fine sorrido pensando a quei dischi costruiti con arrangiamenti perfetti, virtuosismo dispiegato su mille strumenti e sonorità, con gran dispendio di soldi ed energie e che invece giacciono a prendere polvere sul mio scaffale appena dopo essere stati sverginati dalla puntina.

"Cubist blues" è come una vecchia baldracca poco appariscente con una lunga fila di clienti affezionati che ritornano sempre. E mi chiedo se sono questi tre flippati  ad essere dei geni oppure mi manca qualche rotella. Come sempre, la spiegazione sta nel mezzo.

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