Hey-oh collision drive...
I Suicide me li ricordo come gli eroi del punk sintetizzato, rabbiosi e graffianti anche senza chitarre distorte, esponenti di punta dei disperati elettronici, alternativi nel suono ma non nel contenuto. Mi piaceva l’atmosfera ipnotica e malata che usciva dalla voce stridente di Alan Vega, sempre piena di tensione nascosta che accumulava di pezzo in pezzo, il riff senza fine nella sua ripetizione coatta e l’idea di avere sul piatto del giradischi un Elvis Presley mutante, degenarato e pazzo. Mi sembrava una musica adatta ai tempi. Da allora di tempo ne è passato tanto e di album anche. Alan Vega e il suo socio Martin Rev si sono più o meno iscritti alla lunga lista dei perdenti del rock, i loro lavori - specialmente quelli di Vega - mi sono sembrati gradevoli al meglio o francamente deboli in altri casi (fino ad arrivare ad assomigliare, come ha scritto qualcuno, a Billy Idol con un organetto), ma sono sempre riuscito a ritrovarci qualcosa - a volte un soffio, a volte qualcosa in più - di quella vena di follia pseudo rockabilly che tagliava il sogno americano col coltello. Ma in questo “Station” che esce adesso, a più di dieci anni dai lavori con Alex Chilton e a nove dal primo con i Pan Sonic, c’è un Alan Vega molto, molto cambiato.
Sicuramente ha messo da tempo da parte l'idea di riciclarsi e l’approccio al quel rumorismo elettronico destrutturato che aveva già mostrato nel 1999 con l’album “2007” deve avergli aperto nuove strade e Alan ha preso a seguirle con una determinazione nuova ed evidentemente anche una nuova rabbia dentro a fare da propellente. Il massacro sonoro iniziato 8 anni fa (sarà un caso o una traccia che questa sua nuova fatica esca proprio nell’anno che dava il titolo al suo lavoro precedenrte?) continua, più rabbioso che mai. Più determinato e anche più completo. Più sentito, meno casuale. Sempre totalmente destrutturato. Mai più strofa e ritornello; ecco un misterioso tappeto sonoro, una catastrofe elettronica di suoni sporchi, difficili, dove la voce erutta in rantoli di sofferenza che concludono il viaggio iniziato più di vent’anni fa con “Frankie Teardrop” come le urla di uno sciamano; atmosfere oscure, apocalittiche, distorte... la fine deve essere vicina o forse è già arrivata, ci aspetta alla stazione solitaria alla fine del viaggio. Trance e violenza sonora insieme, senza pietà, fino alla disperazione o alla resa.
Mi piacciono gli artisti che sanno cambiare e riescono a rinnovarsi stando sempre in rotta di collisione: bravo Alan, hai saputo creare una scultura sonora degna di te: mostruosa, ma avvincente.
1. Freedom’s smashed
2. Station station
3. Psychopatha
4. Crime street cree
5. Traceman
6. Gun god game
7. 13 crosses 16 blazzin skulls
8. S.S eyes
9. Why couldn’t it be you
10. Warrior, fight ya life
11. Devasteted
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