"Politicamente sono un analfabeta" scrisse di sé Aleksandr Blok.

Da una frase come questa, con tutta la mancanza di spifferi che ha ogni affermazione laconica, si potrebbero trarre istintivamente alcune (affrettate) conclusioni sulla persona che l'ha pronunciata: estremo snobismo, sazia indifferenza, ridicola superficialità.

Del resto il curriculum sembrerebbe parlar chiaro: natali eccellenti, scuole prestigiose e una carriera da poeta che nessun altro altro russo prima di lui, Puškin ecluso, aveva potuto vantare.

Sin dagli esordi, nei primissimi anni del '900, le liriche di Blok scalarono il vertice del Simbolismo russo. La sinuosa armonia del verso e il gioco di specchi in cui si riflettevano le allegorìe delle sue metafore a doppio fondo conquisrarono immediatamente i favori della critica e del pubblico.

"Politicamente sono un analfabeta". Dobbiamo considerare che cosa era il Simbolismo russo e che cosa lo rendeva differente, per esempio, da quello francese. Se quest'ultimo era fondato, in primo luogo, su esigenze estetiche e intellettuali (vedere "L'Arte Poetica" di Verlaine), ciò che connotava la corrente russa era la propulsione messianico-visionaria che trascendeva le aspirazioni e le intenzioni terrene e che proiettava poeti come Blok (ma anche come Andrej Belyj) in altre orbite.

"Politicamente sono un analfabeta". Alle volte però i rintocchi della Storia chiamano a gran voce e, in un modo o nell'altro, bisogna scegliere da che parte stare.

"Politicamente sono un analfabeta". Eppure Blok tra la fine della (fallita) Rivoluzione del 1905 e subito dopo la (vittoriosa) Rivoluzione del 1917 scrisse alcuni articoli e tenne alcuni discorsi pubblici centrati sui problemi politico-sociali della Russia, sullo scollamento, sempre più manifesto, tra il popolo e quella parte di intellettuali che vedeva con orrore l'avanzata dei rivoluzionari.

"L'intelligencija e la Rivoluzione" raccoglie proprio quelle parole, quel materiale così distante da ciò di cui abitualmente si occupava Blok. Ma è davvero così?

Blok non aveva certo la formazione politica di un Sartre o le intenzioni didattiche di un Brecht e, da un punto di vista prettamente storico e sociale, questo libricino è del tutto irrilevante; ma lo è se il metro di giudizio utilizzato è solamente quello di uno storico o di un sociologo.

Ai sorrisi di malcelata commiserazione per il suo "ingresso" nell'arena politica, Blok oppone una fierezza adamantina, rivendica il diritto di dire la sua e fa notare che le poesie "il cui contenuto può sembrare del tutto astratto e non riferito all'epoca, nascono da eventi nient'affatto astratti e quanto mai attuali".

Blok, il principe dei poeti, il Baudelaire russo, l'erede di Puškin, il figlio prediletto dell'intelligencija, l'erede naturale di tutte quelle tradizioni aristocratiche che da sempre facevano il bello e il cattivo tempo nel territorio russo. Proprio lui, sorprendentemente, si schiera a favore dei rivoluzionari.

Trova il chiacchiericcio degli intellettuali stonato come un tamburo, pieno di "paure meschine e meschine parolette", giudica vergognoso il loro attaccamento allo zarismo, la loro arroganza, la loro miopia: "ma cosa pensavate? Che la Rivoluzione fosse un idillio? Che l'atto creativo non distruggesse nulla sul suo cammino?".

Individua nel popolo l'unica fonte di "sangue sano" che possa districare la patria dal pantano e profetizza che l'unica via di salvezza per l'intelligencija tutta sia quella di capire davvero le rivendicazioni rivoluzionarie, di ascoltare il battito dei loro cuori, il ritmo dei loro respiri e di trovare quel minuscolo spiraglio, quel piccolo lembo di terra entro il quale cercare un dialogo. Una terra di confine dei due campi avversi a cui il solo Maksim Gor'kij (romanziere di estrazione popolare) sembrava essere approdato.

Blok anche nella saggistica rimane poeta, poeta fino al midollo e, non a caso, vi è in lui una spasmodica ricerca del simbolo per chiarire concetti.

Così, per esempio, l'anarchia di Bakunin è percepita come un "rogo che non si estingue e che ancora, forse, non divampa del tutto"; la Rivoluzione come "un turbine di bufera che porta sempre con il nuovo e l'inatteso"; la graduale presa di coscienza del popolo come "il lento risveglio di un gigante. Un risveglio con il ghigno sulle labbra, il ghigno di chi la lunga".

Blok parla dell'esperienza russa come "l'ouverture dell'epoca che si sta aprendo dinanzi a noi", il preludio a una nuova èra che presto sarebbe sfociato in una vera e propria sinfonia eseguita "dall'orchestra mondiale dei popoli". Se questo potrebbe far pensare a una qualche corrispondenza con il concetto di "Rivoluzione Permanente" propugnato da Trockij, credo che tale corrispondenza sia (se anche vi è) del tutto involontaria. E la ragione è quella che che dicevo prima: il nostro è un poeta e vede la Rivoluzione innanzitutto come un'occasione di poesia, con un inizio, uno sviluppo e un crescendo continuo; quasi una forma di lirica epica applicata alla prospettiva storica e politica dell'umanità.

Blok scrive tutti questi articoli e tiene tutte queste conferenze perché ha paura? Perché teme che l'onda rivoluzionaria lo travolga? Può darsi.

Ma la sua paura non è il cerchiobottismo senile di un Turgenev che nei suoi ultimi romanzi da un lato voleva ingraziarsi lo zar e dall'altro tener buoni i nichilisti del tardo '800 (a riguardo di ciò rimane memorabile la parodia che ne fece Dostoevskij nel personaggio di Karmazinov de "I Demoni"). No, la paura di Blok è quella di un uomo coraggioso. Di un uomo che dalla paura trae la forza per fare una scelta.

Non solo, Blok sapeva benissimo che quella scelta lo avrebbe isolato completamente. E così avvenne: l'intelligencija non gli perdonò mai il suo "tradimento" e i rivoluzionari, visto il suo percorso privilegiato da intellettuale, lo guardarono sempre con molta diffidenza.

Blok morì solo, nel 1921, a quarant'anni.
Morì come tutti i grandi poeti, sacrificando tutto per l'ispirazione, per la musica che sentiva dentro di sé e fuori dal sé. Ma, del resto, anche questo lui l'aveva sempre saputo: "il ruolo di poeta non è lieve allegro; è tragico".

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