Alessandra Celletti - "Les sons et les parfums" Bleriot (1994)

Oh, bella, poi. Non ci mancava che questa! Un'altra versione - la 1.347° nella storia del disco - di pagine di Debussy, Ravel e Satie. E per dimostrare ad Alessandra che ogni goccia di significato e d'emozione era già stata spremuta dai "Préludes" e dalle "Gnossiennes", ho ascoltato la sua versione di "Le vent dans la plaine" faccia a faccia con le altre della mia discoteca.

Alessandra ha 39 anni, veste curioso, è riguardosa e gli occhi le brillano, ma non sospettavo che una punk sapesse qualcosa che Gieseking non avesse scoperto. Eppure, Gieseking suona grumoso là dove le note di Alessandra volano fluide, gratuitamente violento là dove lei è consideratamente imperativa. Robert Casadesus è eccessivamente ballabile, troppo accentato rispetto alla poesia volubile che Alessandra trova in "Les sons et les parfums...". Jeni Zaharieva perde le cadenze del ballo paesano di "Les collines d'Anacapri" in un virtuosismo da sala da concerto, più adatto a un balletto. Alessandra, invece, ne coglie d'istinto la napoletanità. I "Passi sulla Neve" di Théodore Paraskivesko sembrano affrettati, la "Fille aux cheveux de lin" di Claudio Arrau è imbambolata e quella di Paul Jacobs troppo preziosa. I preludi di Arturo Benedetti Michelangeli, poi, sono così legnosi e ticchettanti che sembrano suonati da Pinocchio. Le miniature di Ravel e, soprattutto, di Satie sono ugualmente assai sensibili al filtro dell'interprete, e Alessandra ci sorprende trovando melodie nascoste in pezzi arcinoti, imparentandone con naturalezza le note con enfasi e tempismi inediti. E consapevole, nei respiri della lettura di Satie, della decadente, estenuata lezione di Reinbert De Leeuw, la cui lentezza elefantiaca ancora affascina col suo mistero.

Un bel disco, davvero. Inaspettatamente, proprio quello che ci mancava.

Carico i commenti...  con calma