Mi sono sempre chiesto: cos’è che fa di uno scrittore un grande artista? Lo stile? La narrazione? Le storie che racconta? Il peso storico? Dipende da tante cose.

Se l’autore in questione è Alessandro Baricco, però, i motivi sono terrbilmente più semplici: la pubblicità, la tendenza del pubblico ad autocompiacersi di una cultura personale che richiede il minor sforzo possibile, e non ultima la sua immensa paraculaggine.

Lo si evince già dalla prima pagina di questo "City": un minestrone di luoghi comuni e frasi fatte proclamate come se fossero le grandi verità della vita, aforismi finto-profondi dallo stile romanzato ma scorrevole, la forma perfetta della grande storia senza la storia, che accontenta tanto la post-adolescente alla ricerca delle frasette da dedicare al proprio ragazzo (9 donne su 10 vi regaleranno un libro di Baricco, sappiatelo) quanto il librofilo finto-acculturato con tanta voglia di leggere e pochissima di impegnarsi.

Baricco è un abile retore con la sensibilità di un macellaio. Usa uno stile pomposo e solenne fatto di discorsi infiniti, ragionamenti sull’assoluto, sulla vita e l’universo, con il quale distoglie l’attenzione dal “già visto” che impera in ogni riga che scrive. Ogni personaggio che costruisce è un contenitore zeppo delle caratteristiche tipiche dell’archetipo che rappresenta: il genio incompreso, la ragazza schiva ma sensibile che riesce a capirlo, il professore di matematica che impazzisce ragionando sulla verità ultima delle cose, ecc. Sembra di ascoltare uno di quei dischi dove il tecnicismo e la magniloquenza degli arrangiamenti nascondono soluzioni e idee già sperimentate da secoli in altri generi, o guardare quelle riedizioni delle automobili in cui telaio e motore rimangono uguali ma la linea della carrozzeria è lievemente più accattivante.

Gould, il protagonista, è un bambino prodigio: laureatosi a undici anni in fisica, è già in lizza per il Nobel. Tutti  dicono che è un genio e si aspettano chissà che, mentre lui vorrebbe essere solo un ragazzino normale. Il solito dramma del bambino emarginato perché troppo intelligente? Sì, ma serve qualcosa per camuffare il banale, qualcosa di insolito. Allora facciamo che si tiene compagnia con due amici immaginari, e ogni volta che siede sul cesso, invece dedicarsi all’arte masturbatoria come ogni suo coetaneo, si immagina tutta una storia su un pugile, solo nella sua testa (il pugile, lottatore per eccellenza, simbolo di agonismo, sofferenza e sforzo fisico per la vittoria, così simile a lui, ah!, quale introspezione, ah!, quale profonda metafora). Ecco, perfetto. A un certo punto mollerà tutto e scapperà via per inseguire la sua libertà. E la decisione la prenderà dopo aver dato per la prima volta nella vita un calcio ad un pallone (l’apoteosi del banale, ma sapeste quanto ci ricama sopra Baricco, voi non ne avete idea).

Secondo esempio. Shatzy ha trent’anni ed è la governante di Gould, l’unica che lo capisce. Diventa la sua governante dopo che si incontrano in una situazione talmente stramba da essere priva di significato, ma descritta in pompa magna. E ti credo, bisogna dare l’idea che questi due sono persone davvero diverse, quindi devono capitargli situazioni insolite. Sarebbe la classica ragazza presa a calci dalla vita, sensibile e poetica, ma dato che Baricco calca la mano gli esce una dissociata logorroica oltre ogni ragionevole misura. Si esprime a mezzo di discorsi interminabili che nascondono dietro il linguaggio alla “gggiovane d’oggi che ha capito tutto dalla vita e se ne frega dell’etichetta” solo slogan in pieno stile Vasco Rossi (tipo: “È una cosa strana. Quando ti accade di vedere il posto dove saresti salvo, sei sempre lì che lo guardi da fuori. Non ci sei mai dentro. È il tuo posto, ma tu non ci sei mai”), che pretendono di racchiudere chissà quale profonda riflessione sull’esistenza umana.

Il prof. Mondrian Kilroy, invece, che insegna statistica ed è un personaggio marginale, dapprima passa il tempo a fare ricerche sugli oggetti “curvi” (eh!?), poi elabora la teoria dell’onestà intellettuale, secondo la quale ogni idea, quando espressa sotto forma di linguaggio, perde di contatto con l’intuizione iniziale e diventa invece un’arma che ogni intellettuale impugna per sopravvivere e guadagnare rispetto all’interno della società in cui vive, in un volgare gioco di lotta per la sopravvivenza. Mamma mia che banalità, cosa ci inventiamo questa volta? Beh, facciamolo mezzo matto, ‘sto professore, che parla con foga, ma sì, venti pagine di discorso diretto stile stream of consciousness joyciano, in modo che questa fesseria sia presentata come una verità rivelata. Ottimo. Se non fosse per un particolare: perché mai un professore di statistica dovrebbe sviluppare una teoria sull’onestà delle idee invece di insegnare statistica? Baricco, me lo spieghi? E perché mai debba fare ricerche sugli oggetti curvi? Baricco, te l’hanno mai detto che i professori non vengono pagati per parlare di aria fritta, che gli scienziati non sono dei mattacchioni un po’ spostati che parlano di massimi sistemi e ogni tanto dicono qualche cosa che suona bene?

Detto questo, la trama è semplice: Gould e Shatzy sono i personaggi speciali, si capiscono perché hanno un rapporto speciale, fanno discorsi speciali, si esprimono in maniera speciale, fanno progetti speciali, si danno anche un bacio speciale, ma non si mettono insieme perché hanno il loro modo speciale di essere innamorati. Il finale non lo dico, è speciale anche quello.

In definitiva: il banale, ma finemente scritto. E la cosa che più mi fa rabbia non sono i lettori che avranno la capacità di accorgersene e prendere il libro per quello che è, quanto gli altri, gli scialacquatori domenicali della parola scritta che si berranno tutta questa montagna di raffinatissime stronzate e penseranno “ah, come scrive bene Baricco” – il massimo che il loro senso critico gli consente – poi si riverseranno in rete in massa, e una puttanata sotto forma di frase da copertina per giustificarlo riusciranno comunque a trovarla, tipo: “è l’espressione del disagio moderno, la voglia di fuggire da questa società asfissiante e dagli schemi sociali, di descrivere gli abissi insondabili dell’animo umano” (frasi vere lette su recensioni entusiastiche trovate qua e là).

Ma guarda che strano: lo stesso stile delle frasi che ha usato per infinocchiarli. Sarà un caso?

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