Pink Floyd. The Lunatic. Testi commentati, di Alessandro Besselva Averame. Arcana, Roma, nov. 2008.
Penultimo volumetto (n.16) della collana "testi commentati" di Arcana. Come per il 17ettesimo (brrrr...), dedicato ai Genesis (DeLiso) anche qui valgono alcuni concetti già esposti nella precedente recensione. In sintesi diciamo che i problemi del testo "spezzettato" rimangono tali da compromettere qualsiasi serio lavoro di commento, interpretazione, analisi.
Con i Pink Floyd (PF) sussiste un ulteriore problema. I testi talvolta sono quello che sono (Waters non è Gabriel e, per buona pace dei fans, Gabriel non è Waters). I testi dei PF dipendono (nel senso che presentano dipendenza) dalle musiche in maniera molto più marcata di quanto non succeda con i Genesis (i G di Gabriel). Molti dei brani storici dei PF, specie quelli più estesi, proiettano a livello inconscio il "già detto in musica" all'interno del testo, esaltandone l'essenzialità; e anche quando questo si fa più esteso (cfr. ad es. "Dogs"), le immagini mentali, le visioni, continuano fondamentalmente a scaturire dalla musica e solo in minima parte dalle liriche. Con i G di Gabriel è esattamente il contrario. Questo in parte spiega molte cose che non vi dico, altrimenti poi i genesisiani mi copiano per scrivere il loro prossimo libro (...).
Ora la questione credo sia evidente. L'idea di scrivere un libro di commento e/o interpretazione ai testi dei PF non può che mettere in primo piano anche l'analisi dei contenuti musicali. Questo non viene fatto, e quando lo si fa, lo si fa in maniera sommaria. Se in brani come "Saucerful", "Atom", "Careful", "Echoes", "Shine", "Welcom", c'è più musica che parole (o solo musica!) significa che l'idea di cui sopra è destinata a naufragare in partenza. Intendiamoci: se ci sono poche parole, o non ce ne sono affatto, è perché queste non sono necessarie. Al contrario se in Gabriel ce ne sono tante, mai troppe, è proprio perché sono necessarie (e talvolta non bastano neanche). Dunque, per citare un altro tizio al quale le parole stavano a cuore, This is the end / Beautiful friend.
Potrei chiudere qui dato che mi si rinfaccia spesso di farla troppo lunga. Ma se chiudo poi mi dicono che non scrivo nulla di specifico sul libro e ci giro solo attorno, abbaiandoci contro. Bene, facciamo allora un'incursione diretta a livello di critica interpretativa.
«Let there be more light - Set the controls for the heart of the sun - (a saucerful of secrets)» La metafora fantascientifica e/o extraterrestre è tale e come tale andrebbe sondata. Quest'idea dell'astronave che va a schiantarsi sul Sole, oltre che banale, annulla le potenzialità psico-psichedeliche del simbolo/visione (ufo, ufetto, ominide, astronave, sopravvissuto, quel che preferite). Visione, quella degli UFO, che Jung indicava come un "Mito moderno". Diamoci la sveglia allora, ma diamocela sul serio! L'amore, sessuale, è la condizione psichedelica del viaggio verso la luce dell'Assoluto (the Sun). L'ombra è l'inconscio da sondare nel viaggio. Non ci vuole molto per capirlo. Basterebbe mettere da parte certo mostruoso provincialismo culturale di matrice reazionaria che dalla metà degli anni Settanta s'è impossessato dell'Io ed ha via via azzerato il campo d'indagine sull'inconscio. («subconscio»? Cazzo, le parole! - cfr. tit. intro p. 14).
Più sul tecnico e meno filosofico: le scale di note «mediorientaleggianti» (Cazzo! Ma come scrivete? Le parole sono importanti!* - cfr. p. 98) che l'autore indica in "Set the controls" stanno, in origine, in "Let there be more light" (un titolo, un programma). Questo spiega la fusione nel percorso musica/parola che tramite l'utilizzo di scale modali, associate a scansioni ritmico-metriche irregolari, prepara al viaggio psichedelico. Che poi l'uso di specifiche modalità antiche (scale né maggiori né minori per dirla in soldoni) risvegli dall'inconscio collettivo immagini sonore che rimandano ad un arcaico medioriente misterico è ancora una volta la prova che nulla succede per caso.
E qui, per fare pendant con la precedente rece (vedi sopra), ci piazziamo una singolare dichiarazione di Stockhausen (Modena, 2003): «Sono all'origine di un numero enorme di sperimentazioni sul suono». (Uh! Uh, uh, uh...).
ET
* http://www.youtube.com/watch?v=qtP3FWRo6Ow
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