Pare che questo super chitarrista romano si sia rotto definitivamente di fare pop italiano. L’uomo comincia ad avere la sua età (57), si è tolto diverse soddisfazioni e il conto in banca, dopo una giovanile gavetta in giro per l’Europa seguita da oramai parecchi anni di discreto successo italico, dovrebbe essere stabilmente a posto. Suo figlio cresce, ormai è un ragazzino, ma lui vive da solo; Alex è figlio unico di padre problematico (bipolarismo), così ha imparato sin da piccolo a star da solo, e a trarre piacere di ciò. La sua abilità colla chitarra è dovuta anche a questo: tutte quelle ore passate con solo la musica a tenergli compagnia…
A Sanremo c’è andato anche troppe volte, dalla De Filippi e da Costanzo era fisso… che gnorgna! Ragion per cui l’ho sempre abbastanza evitato, non ho approfondito, e manco uno straccio di concerto suo ho mai visto. Peccato… male ho fatto; lui è un musicista brillantissimo e andava solo capito, voleva il successo quello vero e si rendeva conto che accompagnare Ray Charles o B.B.King quando venivano a suonare in Italia non gli avrebbe fatto raggiungere niente di importante.
Questo ragionamento lo canta lui stesso, molto apertamente in “Gelido”, brano d’apertura di questo suo primo album. “Faccio pop italiano”, intona, sottintendendo che suonerebbe ben altro ma le bollette si pagano meglio dedicandosi alle canzonette e allora forza! Anche il titolo dell’album è tutto un programma.
Così la sua carriera, i suoi dischi da questo in poi, che è del 1998, hanno sempre oscillato fra brani leggeri e ruffianotti, affiancati da “riempitivi” che sono poi la parte nobile del suo talento, dove si lascia andare alla chitarra ed al suo perfetto e vigoroso imprinting jazz blues. Curiosa anche la scelta di imbracciare, per lunghi anni ed in esclusiva, solamente la chitarra acustica, peraltro dominata con un livello di gagliardia e controllo invidiabili, uniti ad una profonda sapienza applicata all’armonia ed al ritmo.
Esprimere qualità, intelletto musicale e addirittura virtuosismo nell’ambito della canzonetta italica è un esercizio complesso e sfizioso. Lui ogni tanto ci riesce benissimo e l’esempio più eclatante è il pezzo forte di quest’album, il singolo “Oggi sono io” che simboleggia pienamente il difficile connubio fra pop nostrano e jazz blues afro americano. Agli ascoltatori meno attenti arriva la piacevolezza del brano, lo slancio del ritornello; a quelli più appassionati e smaliziati, come me e in generale chi frequenta questo sito, viene trasmessa pure l’assoluta qualità e brillantezza della trama chitarristica, la dinamica, l’eleganza, la sostanza.
Non tutto funziona al massimo: Britti è chitarrista prodigioso, ma cantante mediocre. Almeno, lo era ai tempi di queste registrazioni. Non riesce a replicare colla voce le incredibili sfumature e nuances, come dicono gli anglosassoni, che gli vengono a fiotti sul suo strumento. Però ci prova, è un musicista molto evoluto, sa cosa sono capaci di fare i grandi e se il rendimento della sua voce qui non è ancora niente di che, lo spirito e l’approccio sono quelli giusti.
Negli ultimi tempi Britti è perciò, grosso modo, sull’onda del suonare e produrre quello che gli pare e gli piace, ma soprattutto ha ripreso ad imbracciare costantemente una chitarra elettrica. Nei concerti lo si può ammirare ogni tanto coverizzare Jimi Hendrix a livelli astrali, imbarazzanti.
Sono contento che nel panorama italiano giri una personalità del suo talento che, pur avendo deciso in passato di scendere a pesanti compromessi con l’andazzo italico per venire in superficie con forza, dispone di una caratura pienamente internazionale in quanto a capacità compositiva, di armonizzazione, di intuito.
I pezzi migliori di quest’album si accumulano verso la fine di esso, quando Alex molla abbastanza le canzonette, piazzate più o meno tutte all’inizio, i ritmi dance, le spruzzate di rap di tendenza, mettendosi invece a far musica che gli appartiene veramente. Il suo blues ed il suo jazz, invece che occhieggiare in qualche passaggio, si prendono la scena, la sua destrezza rara sulle sei corde si dispiega, la sua musica diviene meno vendibile ma più nobile e gradita a chi ci capisce.
Ci accontentiamo e andiamo avanti. Inutile essere esterofili a prescindere, prendiamo quel che c’è di valido dalle nostre parti. Che è non è molto, certo, ma neanche in America e Inghilterra son messi benissimo, ultimamente.
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