I gusti musicali, così come la militanza politica o il tifo calcistico, sono un qualcosa che ti si appiccica addosso in tenera età, senza che tu possa renderti conto di cosa sta succedendo... Ed in un attimo sei già sugli spalti a gridare "Viva questo" e "Abbasso quello". Poi si cresce, e si tenta di dare una qualche giustificazione razionale alle nostre passioni, ma in verità è stato deciso tutto in modo casuale o anche banale, in un pomeriggio in cui era meglio andare a dare due tiri al pallone piuttosto che al cinema, e per quello strano concatenarsi di eventi ci portiamo addosso uno stendardo, un'insegna, una maglietta, magari per tutta la vita. E sorge il quesito esistenziale: così come siamo fatti, non potevamo avere altro che quelle passioni e quegli amori, oppure sono stati proprio quelle passioni e quegli amori a plasmarci nella forma che abbiamo ora?

Non so a voi, ma a me un musicista che compie un percorso come quello intrapreso da Alex Skolnick, sta estremamente simpatico. L'acclamato eroe del gruppo thrash metal Testament, giunto al vertice della sua carriera, con grande umiltà, coraggio e voglia di rimettersi in gioco, appende al chiodo la sua "Star body guitar", imbraccia una Gibson Les Paul e torna "sui banchi di scuola", a studiare ed approfondire i grandi chitarristi jazz Wes Montgomery e Jim Hall.

Pensate a quando inviterete a casa il vostro espertissimo amico jazzofilo, con Skolnick sul lettore, e gli chiederete: "Ma tu cosa ne pensi di questo chitarrista?". C'è il rischio che il vostro amico parta in una digressione su armonici e tonalità, tiri in ballo Jim Hall e Joe Pass, finchè non gli metterete sotto gli occhi il CD, indicandogli l'autore del brano: Ozzy Osbourne! Eh sì, perchè oltre ad un paio di brani originali, il disco consiste in una rilettura in chiave jazz di alcuni classici intramontabili del genere hard rock/heavy metal, arrangiati con gusto, e suonati e improvvisati con una tecnica e una musicalità di tutto rispetto.

Ce n'è per tutti i gusti, nessuno dei grandi maestri del leader viene dimenticato. La scaletta è la seguente:

- Detroit Rock City (Kiss)

- Dream On (Aerosmith)

- No One Like You (Scorpions)

- Good Bye To Romance (Ozzy Osbourne)

- Still Loving You (Scorpions)

- Skol Blues (A. Skolnick)

- Pinball Wizard (The Who)

- Ofri (A. Skolnick)

- War Pigs (Black Sabbath)

E' molto interessante scoprire come questi brani rivelino una inattesa carica blues, una volta spogliati di tutta la spettacolare aggressività con la quale vengono solitamente eseguiti. L'impressione è che Skolnick si applichi di proposito, come un sapiente minatore, ad estrarre il blues, matrice comune di tutta la musica della nostra epoca. E mettendo d'accordo tutti: nelle sue mani queste canzoni diventano veramente dei "nuovi standard".

Ad un primo ascolto si è tentati di inquadrare il suo stile in un rodato mainstream jazz, con l'evidente influenza dei chitarristi sopracitati. Ma Skolnick ci mette spesso e volentieri del suo, affiancando una chitarra elettrica "bella pesante", dalle sonorità hard, alla semiacustica, come in "Goodbye To Romance", "Skol Blues", "War Pigs". Bella la rilettura di "No One Like You", che suona quasi come una bossa nova. Qua e là emergono anche influenze di chitarristi più recenti, come John Scofield, ad esempio in "Pinball Wizard", in cui figura un pregevole dialogo tra il leader ed il contrabbasso di John Davis, suonato con l'archetto.

Una menzione speciale merita il brano conclusivo "War Pigs", quasi un compendio di tutte le tecniche chitarristiche padroneggiate dal nostro, in cui vengono dapprima sovraincisi due assoli jazzistici di matrice molto moderna, e a seguire un sapido assolo di chitarra elettrica, dove Skolnick fa sfoggio di tutta la micidiale tecnica appresa in anni di militanza metal.

Comprimari all'altezza: il bassista John Davis dimostra di saper passare dallo swing al rock con una certa disinvoltura. Il batterista Matt Zebroski è puntuale ed attento ad assecondare il leader, sopratutto nei brani più veloci.

Forse non sarà al livello di altri chitarristi jazz, ma Skolnick dà prova di un'ottima versatilità, confezionando un disco curioso e divertente, molto eterogeneo ma sempre godibile: una bella lezione di apertura mentale in un mondo musicale già troppo afflitto da settarismi, faide e sgambetti reciproci.

Carico i commenti... con calma