"Gli uccelli" è la metafora della condizione umana secondo Hitchcock. Una minaccia costante pende come una spada di Damocle sopra il destino dell'uomo: essa può annidarsi dovunque, e tanto più è terribile quanto più è nascosta fra le pieghe della vita quotidiana, fra le cose, gli ambienti e gli esseri (umani e non) che più ci rassicurano. E' questa una norma narrativa imprescindibile del cinema di suspense, ma mai come adesso il regista inglese l'aveva portata a conseguenze così estreme. Anche gli innocui uccellini possono diventare una tremenda rappresentazione di questa minaccia senza nome.

E' il 1963, siamo soltanto alle origini di quel nascente genere catastrofico che darà i frutti migliori col primo Spielberg. Ma Hitchcock, al suo ultimo capolavoro (ci saranno un paio di altri bellissimi film, ma non più l'abbacinante perfezione delle opere precedenti), ne ha già ben chiare tutte le implicazioni allegoriche. Prende spunto da racconto di Daphne Du Maurier, la popolare scrittrice che gli ha già ispirato due film (compreso il capolavoro anni quaranta Rebecca la prima moglie), e a sceneggiarlo chiama il brillante giallista Evan Hunter.

Proprio la sceneggiatura si rivelerà uno dei punti di forza di un film che, per forza di cose, non può spiegare quali sono le ragioni della spaventosa "rivolta" degli uccelli, e deve necessariamente puntare su altri elementi. Hitchcock e Hunter scelgono intelligentemente di giocare sull'attesa, e sull'angoscia da esso generata. La catastrofe arriva alla fine, dopo che il regista, con quella maniacale attenzione ai dettagli che è il suo marchio di fabbrica, ha abilmente preparato il terreno e infuso a poco a poco nei personaggi e nello spettatore un senso sottile ma sempre crescente di minaccia.

Si parte adagio, coi toni brillanti ed urbani di una commedia sofisticata. Siamo a San Francisco. In un negozio di animali, la ricca, giovane e irrequieta Melanie Daniels incontra per caso l'avvocato Mitch Brenner, è affascinata e insieme indispettita dal suo atteggiamento (ha finto di scambiarla per una commessa, in realtà sapeva benissimo chi fosse) e decide di fargli una sorpresa: lo raggiunge a Bodega Bay - il centro marittimo dove Mitch trascorre i fine settimana con la madre e la sorellina - col pretesto di donare alla bimba una coppia di pappagallini "inseparabili" (love birds).

Qui i primi segnali di inquietudine cominciano a manifestarsi. Non soltanto perché la madre di Mitch, Lydia Brenner, si rivela una donna disturbata e morbosamente legata al figlio, non soltanto per la diffidenza mostrata dagli abitanti della cittadina nei confronti della ragazza snob venuta da fuori, ma anche perché la stessa Melanie viene inaspettatamente ferita in volto da un gabbiano. I segnali (tanti strani accadimenti che hanno per protagonisti gli uccelli) si moltiplicano, con intensità crescente, mentre fra Mitch e Melanie sembra nascere un'intesa, seppure ostacolata dalla madre di lui: le galline dei Brenner si rifiutano di mangiare; durante la festa di compleanno della piccola Cathy uno stormo di gabbiani attacca i bambini; la sera stessa, la casa dei Brenner viene invasa da centinaia di passeri che entrano attraverso il camino. Finché il mattino successivo la signora Brenner non troverà il cadavere, orrendamente dilaniato, dell'agricoltore Dan Forster.

La paura è ormai nell'aria. A poco valgono gli scetticismi di alcuni abitanti (l'anziana ornitologa razionalista, che si rifiuta di credere alla volontà omicida degli uccelli). Di fronte a un attacco in pieno giorno, di proporzioni enormi, le morti si moltiplicano, il terrore dilaga, Bodega Bay si scopre oramai sotto assedio...

Alla fine non ci sarà punizione per i colpevoli né premio per i buoni. Per la prima volta nella sua carriera Hitchcock non emette alcun giudizio, l'allucinante finale - i protagonisti che all'alba si avviano verso San Francisco, in un silenzio terrificante e assoluto, sotto gli occhi di milioni di uccelli appollaiati ovunque - resta sospeso.

Ma del resto: come si possono considerare colpevoli gli uccelli? E come si può considerare innocente questa umanità che si dibatte fra menzogne ed errori di ogni genere? Melanie (una Tippi Hedren che, ennesima reincarnazione della bionda glaciale hitchockiana, si impegna nell'arduo tentativo di imitare Grace Kelly), Mitch (il legnoso Rod Taylor) e tutti gli altri protagonisti della vicenda altro non sono che un significativo frammento di un quadro più ampio, come ci rivelano gli splendidi campi lunghissimi (compresa l'inquadratura finale) nei quali sovente il regista immerge i suoi personaggi.

Qual è allora il senso ultimo dell'operazione compiuta da Hitchcock? Si sono date interpretazioni politiche, ecologiche, sociali, filosofiche, si sono tirate in ballo la religione e l'apocalisse. Tutte convincenti, ma Hitchcock del resto si è tenuto bel lontano dal sottolinearne una in particolare. Quest'ambiguità non intacca la sostanza autentica del film, ma semmai la rafforza. Il traliccio narrativo, così insolitamente portato alla divagazione e alla dilatazione dei tempi, ci mostra i contorcimenti di personaggi dominati dall'angoscia e dal senso di vuoto (da Melanie alla signora Brenner). Su di loro incombe una minaccia di dimensioni cosmiche. Che finalità o che origine abbia (terrena, soprannaturale, addirittura divina) non ha importanza. E' la minaccia: il pericolo costante che aleggia sul destino dell'uomo.

All'epoca dell'uscita, molte furono le critiche negative e le perplessità per questo capolavoro che avrebbe fatto scuola, anche dal punto di vista della tecnica. A quest'ultimo riguardo vanno menzionati almeno i trucchi ed effetti speciali (allora sbalorditivi) di Robert Burks e Lawrence Hampton, e la colonna sonora sui generis di Bernard Hermann, che si è "limitato" a orchestrare e manipolare elettronicamente i versi degli uccelli.
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