Che Hitchcock fosse schizofrenico ? Che soffrisse di quel "disturbo bipolare dell'umore" che oggi fa tanto chic esibire ? Altrimenti non si spiega la facilità con la quale Hitch ,dopo aver diretto Vertigo, passò alla produzione di un film come "Intrigo Internazionale". Due film tra loro tanto diversi quanto la notte e il giorno: Intrigo Internazionale, con la sua sofisticatezza, la sua ariosità, il suo libero e moderno senso dell'erotismo, dissipa d'un tratto il cupo nuvolone denso di angoscia, di morte e di malata sensualità di Vertigo. Non prima di aver mandato alla forca il distributore italiano che lo ha tradotto nel patetico (voleva incuriosire i più grossolani consumatori di cinema?) "La donna che visse due volte", possiamo pensare a Vertigo come al film più lento e meno manipolato di Hitchcock, una tragedia che ha l'ossessività degli incubi, l'incapacità (tipica dei sogni) di soddisfare i nostri desideri, come quando sogniamo di essere assetati e per quanta acqua beviamo la sete continua a tormentarci. Ma "Vertigo" splende di una luce particolare perchè Kim Novak, vera e propria figura letteraria per come Hitchcock l'ha prima plasmata e poi diretta, ne fa il suo film, trascina lo spettatore per la cravatta e regge il filo di un'infinita e celata seduzione, lo avvolge e lo svolge a suo piacere.

James Stewart e i suoi occhi turchesi, che hanno gettato nello sconforto Paul Newman e condotto a migliori consigli le sue più fanatiche ammiratrici, è il tramite tra noi spettatori e la materia del film che in fin dei conti è la bellezza di Judy/Madeleine. Giallo? Thriller? Niente di più sbagliato, tanto è vero che Hitch a due terzi del film ci anticipa , con un flashback, lo scambio di persona che nel libro da cui è tratto il film viene rivelato solo nelle ultime pagine.

I fatti stanno così: Scottie è un poliziotto di San Francisco a riposo, soffre di acrofobia. Ha un'amichetta, occhialoni e abiti da maestra elementare, biondina, caruccia, ma niente su cui scriverci poesie. Per il resto è un tipo piuttosto solitario e pacato. Un suo ex compagno di college, che conosce la sua paura per le altezze e sa che è stato allontanato dalla polizia, vuole che segua la moglie Madeleine che pare sia posseduta dallo spirito malato di una bisnonna suicida per amore. Scottie accetta l'incarico e inizia a pedinare l'algida moglie dell'amico: ella ha strane abitudini, frequenta un museo dove ammira un solo quadro, quello della bisnonna Carlotta Valdes, macina chilometri per far visita ad una lapide senza nome in una sperduta missione fuori città, e poi, tornata a casa, è come sè non avesse mai visitato quel museo, visto quel quadro, pregato su quella lapide. Scottie è affascinato da Madeleine, bellissima e misteriosa, ma è un tipo razionale e non crede a soprannaturali trasmigrazioni di anime. Eppure, giorno dopo giorno, resta convinto che in lei ci sia davvero qualcosa di defunto, una zona d'ombra in cui Madeleine non può guardare ma dalla quale si lascia condurre. Un tentato suicidio dal quale Scottie la salva gli permette di conoscerla (nella misura in cui il mistero che l'avvolge lo consente) e di innamorarsene. Quindi Scottie ora non è più curioso, ma completamente pazzo di lei e il suo impegno di recuperarla alla serenità, di cacciarle dalla testa quegli strani fantasmi si fa più sofferto e deciso. Inutilmente. Durante una delle gite in cui Scottie l'accompagna nei luoghi che tanto la tormentano nella speranza di esorcizzare lo spirito dell'antenata, Madeleine si arrampica su per le scale di un campanile e Scottie, bloccato dalle vertigini, la vede precipitare. Il film potrebbe anche concludersi qui come un riuscitissimo melodramma, un perfetto finale tragico, un "perchè è accaduto" lugubre e plausibile, un'anima che tribolerà chissà per quanti anni ancora. E invece si ricomincia da capo, con Scottie che, dopo un periodo trascorso in una clinica per riprendersi dallo stato depressivo in cui era caduto, con i suoi ineffabili occhi velati di una inguaribile malinconia, inizia una seconda vita di solitudine girovagando come un fantasma per le strade di San Francisco e ... incontra Judy. Senza ambagi: Judy era l'amante del compagno di college di Scottie, il quale approffittando della somiglianza di Judy con la moglie la invita a impersonare per qualche tempo una Madeleine misteriosa, triste, geneticamente votata al suicidio (tanto la vera Madeleine viveva in tutta pace nella casa in campagna), giusto il tempo di infinocchiare quell'ingenuo di Scottie, convincerlo della falsa pazzia di Judy/Madeleine e farne un prezioso testimone in sede processuale. Tutto procede secondo i piani, almeno finché Scottie non incontra Judy. Egli è rapito dalla somiglianza e ,un pò goffo, cerca di avvicinarsi a lei, la implora di assecondare l'assurdo desiderio di un uomo che ha visto morire la donna che amava e adesso la vede rivivere nelle sembianze (un pò volgari per il suo trucco pesante e la sua espressione tristemente indifferente) di una sconosciuta e le strappa una cena. Qui Hitch inserisce il flashback che ci rivela come si sono succeduti i fatti in cima al famigerato campanile: c'era la vera Madeleine stordita e sorretta dal marito pronto a lanciarla e poi Judy che lancia un grido di impotenza perchè si pente: si pente dell'inganno che aveva perpetrato, della morte di Madeleine che aveva tacitamente accettato, dell'impossibilità per il resto della sua vita di amare Scottie di cui si era davvero innamorata. Judy si lascia allora conquistare da Scottie, ha una piccola speranza che fra loro possa rinascere l'amore senza che nulla si sappia del misfatto e acconsente ai piccoli cambiamenti che Scottie le richiede perchè assomigli sempre più a Madeleine. Da bruna si fa bionda, insieme a Scottie sceglie i vestiti che Madeleine (cioè lei) usava portare, e si lascia anche acconciare i capelli in un certo modo. Ma, per colpa di un gioello forse regalato a Judy dal marito di Madeleine come benservito per il lavoro svolto, Scottie capisce tutto. Allora conduce Judy sullo stesso campanile dove non era riuscito ad arrampicarsi, la costringe a confessare e ,sordo alle sue lacrime e alle sue promesse di amore eterno, non batte ciglio quando la vede precipitare giù, spaventata dall'ombra di una suora che era salità lassù a causa dei rumori. Scottie gira i tacchi e la telecamera fissa sul campanile coronato del blu di una notta stellata ci fa vedere un puntino che in basso a destra si allontana verso l'automobile.

Hitchcock firma il suo film più bello (altri saranno capolavori ma questo è il suo più bello) e quello con il messaggio, tra le righe, più amaro. Che l'amore è un inganno. Madeleine non è mai esistita. Esisteva una sua versione campagnola ma chissà quanto diversa. Se è esistita -virtualmente- è stato nella mente di Scottie che ha dato forma e sostanza all'idea di una Madeleine fascinosa, bellissima, debole e fatale della quale Judy e il suo amante avevano gettato i semi in attesa che lui abboccasse. La bellezza, secondo Hitch, non esiste di per sé, altrimenti Scottie non avrebbe avuto problemi a innamorarsi di Judy una volta che ella si fosse trasformata di nuovo in Madeleine; esiste perchè c'è sempre qualcuno che la avverte, la intuisce dove altri non vedrebbero che un paio di seni e uno stacco di gambe memorabili. La bellezza (e di conseguenza l'amore) dipende dai sogni, dalla storia personale e dall'immaginazione di chi lo cerca e il bello (perdonate il gioco di parole) e tutto qui, oltre c'è solo la delusione. Allora forse il modo in cui il film si chiude è una disperata ma serena rivendicazione di un desiderio che è egoista, insaziabile, incomprensibile ma che è anche una infinita fonte di intima e dolce malinconia.

Tout le reste est littérature

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