(Ecco cosa succede  quando ti sforzi per rendere le recensioni il più “professional” possibile) 

Io sono il martirio di Santa me stessa (Chuck copyright) 

Anche chiedendo a Sua Eminenza Johnny Cash  di  intercedere per me  presso Santo Peter Murphy dal Parasido di Amsterdam il quale, a sua volta, avrebbe chiesto una grazia ai quattro Dinosaur Jr dell’Apocalisse, sugli Algebra Suicide (ma che significa sto nome?) non è possibile reperire nulla di nulla. Nemmeno un niente, giusto per farci  un qualcosa. Di quelli che Padre Manuel Agnelli vedeva “proprio in centro” e poi ti diceva “vieni dentro vieni dentro, che ti prendo...” etc. etc. Non una singola notizia biografica, né indicazioni di ogni sorta sulla discografia completa: di questo duo, costituitosi nel 1982, di cui facevano parte una poetessa (al secolo Lydia Tomkiw) e un compositore (all’anagrafe Don Hedekero), sembrano essersi perse le tracce.
Le chiamano “Meteore” (parte la sigla: “There's a starman waiting in the sky...”).

Ziggy Stardust e la sua “Starman” (Italia Uno copyright)  non sono le parole esatte, ma sono  le prime che mi vengono in mente. Quindi spazio all’improvvisazione (per quanto mi riesca) per un disco che non mi ha molto entusiasmata, privo di variazioni di tono, troppo uguale  a se stesso: prevedibile.
Allora: due mesi fa trovo sto disco al centro commerciale, letteralmente seppellito tra l’ennesimo Greatest Hits di Titti Bianchi e la versione remix di “Andamento Lento” di Tullio De Piscopo. [Avanguardia musicale allo stato puro, da intenditori.(Immaginatevi la mia faccia in quel momento).]
Anyway. Lo compro.
Fine degli eighties.
[Le radio passano unicamente Michael Jackson (ante metamorfosi epidermica) e  Mariah Carey. In Italia, Rai Stereo Notte rules trasmettendo suoni indie in gran quantità (chiedete a Kurt Cobain)].
Lydia scrive i testi. Vere rapsodie in musica. Don giustappone le note sul pentagramma tra chitarre, sintetizzatori (che imperano nella bella “Somewhat Bleecker Street”) e drum machines sparse per tutto l’album.

Uno dei difetti di “The Secret Like Crazy “ è quello di mettere troppe carte in tavola: troppo spesso si susseguono cadute di ispirazione, ripetitività, monotonia a sprazzi, rendono l’ascolto poco fluido, “Tuesday Tastes Good”, “Sinister”, “Seasonal Zombies” e “Agitation” ne sono l’apoteosi.

“Little Dead Bodies”: inizio del disco. Più che un titolo, un vero e proprio motivo conduttore di questo viaggio sonico. Aurorale e al tempo stesso cupa, ruvida e dolce, sincopata eppure vivace. Effetti ottenuti sfruttando lo stile chitarristico della moda shoegazer dell’epoca con  soluzioni prese in prestito dall’elettronica.

Lydia Tomkiw canta come una Nico (vedi “Tractor Pull”, vedi anche “Father’s By The Door”) che è passata dallo stesso estetista di Siouxsie Sioux. Dipinge monologhi. C’è un certo piglio cantautorale nel suo fraseggio che si macchia di country, new wave ( tradizione di cui gli Algebra sono in parte eredi), no wave newyorchese ( vi ricordate che bel disco era “Buy” di James Chance And The Contortions?). Discorso analogo si può fare per l’arabesco sonoro del disco: qualcosa di completamente diverso, uno zenith musicale oscuro  e diametralmente opposto a quanto si stava verificando in quegli anni a Chicago (e qui il buon Pretazzo mi incensa, giustamente, Santo Stefano Albini), a Seattle e in Pennysilvania. Una commistione totale di generi nel segno della melodia.

Veri e propri Talking Heads con frac e cilindro (i mocassini leopardati di David Byrne erano ormai demodè, ahimè), gli Algebra si allontano anni luce dal fulmicotone e dai suoni sporchi e grezzi della garage-noise scene. Impostazioni, per alcuni aspetti, sinfoniche: chitarre in jamming ambient, atmosfere lounge da camera, sezione ritmica crepuscolare. La lezione del Lou Reed di “New York” (“Romeo and Juliet” e “Halloween Parade” su tutte) non è passata inosservata e in questo disco si sente, dimenticando però gli appunti che il buon ex Warlocks aveva dato ai suoi studentelli su una certa disciplina chiamata "arte ed entertainment"....

Forse questo disco sarebbe piaciuto a Jim Carroll: “In Bed With Boys” ricorda le swingate rock di “Three Sisters” (vedi alla voce: “A Catholic Boy”)  edulcorate dagli Atlantis di Inga Rumpf.

La dark wave diventa protagonista indiscussa in “True Romance At The World’s Fair” e in “Tonight”.

Ad ogni modo: ipnotici, glamourous. Niente barocchismo sonico, tanto lignaggio filosofico. Se proprio volete averli nella vostra cdteca, fatelo magari nel reparto “Amarcord & retrò”.

Elenco tracce e video

01   Little Dead Bodies (04:50)

02   Somwhat Bleecker Street (01:34)

03   Gist (02:26)

04   (A Proverbial Explanation for) Why No Action is Taken (02:32)

05   Father's by the door (02:48)

06   Tractor Pull (02:24)

07   Tuesday Tastes Good (02:53)

08   In Bed with Boys (02:11)

09   Sinister (03:27)

10   True Romance at the World's Fair (01:45)

11   Tonight (02:15)

12   Please Respect our Decadence (02:24)

13   Heat Wave (03:08)

14   No War Bride (01:25)

15   Let's Transact (02:28)

16   Lethargy (02:13)

17   Amusing One's Self (02:26)

18   Recalling the Last Encounter (01:51)

19   Seasonal Zombies (02:51)

20   Agitation (01:27)

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